“Ipotesi cinema”, la scuola laboratorio che per lui era una bottega e che ha formato Archibugi, Gay, Bisatti

Tra i grandi meriti di Ermanno Olmi c’è anche quello di aver avuto l’intuizione e il coraggio di fondare nel 1982 la scuola “Ipotesi cinema”. La sede storica fu a Bassano del Grappa per poi spostarsi ad Asolo e Padova (a San Giorgio in Bosco) e infine a Bologna.
I primi lavori realizzati si videro nel 1985 grazie all’appoggio di Paolo Valmarana, che con Rai1 finanziò un programma in dodici puntate di un’ora ciascuna chiamato “Di paesi e di città”, andato in onda quell’anno e replicato nel 1988. Dentro quel format furono trasmessi cortometraggi e documentari realizzati dagli allievi della scuola, in quel contesto esordirono registi come Francesca Archibugi, Mario Brenta, Giacomo Campiotti, Piergiorgo Gay, Maurizio Zaccaro.
L’idea alla base era quella di una scuola nella quale costituire un laboratorio collettivo dove tutti i partecipanti potevano contribuire alle attività di sceneggiatura, regia, ripresa e montaggio, supervisionati da maestri che si prefiggevano l’obiettivo di trasmettere non nozioni, ma esperienze.
All’interno di “Ipotesi cinema” si mettevano in primo piano la cifra autoriale, lo sguardo personale, piuttosto che l’aspetto professionale inteso come pura capacità di saper girare un film. Un soglia delicata da gestire perché il cinema deve essere capace di produrre narrazioni, ma allo stesso tempo deve proporre punti di vista originali. Per capire meglio la poetica di questa didattica, più che cercare parole per definirla, è bene vedere i film che sono stati prodotti direttamente dalla scuola e le opere successive di alcune delle principali voci di quella stagione. Un regista come Giorgio Diritti grazie alla scuola di Ermanno Olmi realizza il suo primo documentario, “Il denaro”, ma di quell’esperienza si sente la forte eco anche nel suo esordio nel cinema di fiction con il sorprendente “Il vento fa il suo giro” e il successivo “L’uomo che verrà”. Anche un regista come Mario Brenta, oggi docente di Teorie e tecniche del linguaggio cinematografico all’Università di Padova, realizza il suo secondo film, “Maicol”, grazie alla produzione della scuola, ma la cifra artistica maturata in quegli anni si respira anche nel successivo “Barnabò delle montagne” che nel 1994 fu presentato in concorso al Festival di Cannes.
Se Mario Brenta è da considerarsi uno dei fondatori della scuola, il regista padovano Rodolfo Bisatti è stato forse l’ultimo autore veneto capace di proseguire il lavoro didattico/produttivo. Bisatti nella scuola di Bassano realizza i suoi primi documentari “La terra”, “La valle” e “Case” e in seguito il suo esordio nel cinema di fiction con “Il giorno del Falco” presentato nel 2004 alla Mostra del cinema di Venezia. Ancora oggi Bisatti dirige laboratori sperimentali individuando nelle forme didattiche olmiane definite “Postazione per la Memoria” e “Tecnica dell’Ascolto Condiviso” due avamposti per il rinnovamento del linguaggio audiovisivo.
“Ipotesi cinema” si è sempre mossa su una soglia delicata dove da una parte l’obiettivo era quello di diventare “autori” e non semplici professionisti. Ermanno Olmi ne parla come di un’osteria o di una bottega d’arte, nella quale si apprende “facendo” , in una dimensione di colloquio, di scambio di idee e di energie creative. L’Italia nonostante i suoi grandi registi prolifica nel reparto tecnico, grazie anche a quella fondamentale realtà che fu Cinecittà, dove ancora oggi scenografi, musicisti, operatori della fotografia e costumisti vengono regolarmente candidati ai premi Oscar, è una nazione nella quale la didattica cinematografica non ha mai trovato vere e proprie fondamenta. Il centro sperimentale di cinematografia di Roma ha alternato stagioni rigogliose a periodi di grande crisi, negli anni Ottanta Ermanno Olmi contribuì a riempire un vuoto. Per questo motivo, ancora oggi, la scuola di “Ipotesi cinema” viene ricordata come una sorta di esperimento essenziale, mai più replicato. Dopo più di trent’anni nessun grande autore è riuscito a creare un movimento, una piccola avanguardia, come seppe fare lui.
Alberto Fassina
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