La cicatrice di Eugenia, una battaglia vinta con coraggio

I segni del corpo sono lettere dal profondo, forme invisibili del dolore. E ogni corpo porta su di sè le cicatrici della vita, magari le nasconde, le rimuove, o forse le cuce, le ama. Matrimonio di Eugenia di York, secondogenita di Andrea, duca di York, e di Sarah Ferguson. Il vestito è quello delle principesse, ma è la profonda scollatura sulla schiena a rendere insolita la sposa. A far da ricamo involontario è una ferita, una lunga e profonda cicatrice. Eugenia sceglie di mostrare una parte di sé, ha il coraggio di non rimuovere, ma di far vedere, a prescindere dalle motivazioni. È necessario non esaltare i meccanismi di inglobamento, di compensazione e di sublimazione, ma il fatto che ciascuno di noi viva e sia consapevole del le proprie ferite, soprattutto quelle incise sul corpo, può diventare un modo per dire a se stessi che tutto è passato, che la ferita rimarginata è anche quella che magari abbiamo dentro. Quando l’individuo deve affrontare le zone buie della sofferenza, della paura di morire, spesso nei percorsi di recupero e di riabilitazione è facile renda le ferite prima e le cicatrici poi una sorta di testimonianza di una battaglia vinta. Quando il dolore e la fatica sono profondi, diventa importante celebrarsi, amarsi con tutto ciò che ci portiamo dentro, imperfezioni comprese. È la dimensione che vivono le donne mastectomizzate: perdono una forma importante del femminile, ma recuperano sostenute da forza, coraggio e autostima. Analogo maschile è la prostata, la perdita stessa di capacità legate alla prestazione. Tutto ciò che comporta un cambiamento, anche strutturale e fisico di noi stessi, richiede non solo la forza di volontà, ma rende positiva la trasformazione accompagnata da un’idea esistenziale precisa. Un posto importante nell’accettazione-restituzione verso l’esterno della nostra idea di perfezione occupano l’invecchiamento e le rughe, le cicatrici del tempo, i segni sulla nostra pelle che rivelano e non tacciono. L’età l’hai dentro, ma ciò che appare ed è percepibile agli altri è la risposta che il mondo esterno ci dà e di cui abbiamo bisogno. Un matrimonio è una cicatrice lunga, forse come la vita stessa di Eugenia, un messaggio di coraggio, ma anche di uno svincolo ideale che la sposa ha dato al suo percorso, forse interiore. La negazione delle nostre inadeguatezze è più deleteria dell’esaltazione, nel tentativo di rendere protagonista il segno del dolore e della malattia ci sono il desiderio e il coraggio di dare a sè una sorta di premio: quello di credere nella vita a prescindere dall’onere che abbiamo di doverla sostenere. Il dolore non fa crescere, ma fa capire il valore profondo della salute e di quanto dobbiamo fare per tenere con amore e in gran cura il nostro corpo. —
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