La dignità del dialetto e i versi dei grandi poeti «Da Dante in poi il bilinguismo è linfa vitale»
È, di fatto, una nuova “questione della lingua” quella che pone un grande filosofo – da sempre attento nelle sue opere al significato dell’esistenza del linguaggio – come Giorgio Agamben, con un’operazione in parte ardita. Quella di lanciare e dirigere, per la casa editrice Quodlibet, una nuova collana di testi di poesia bilingue. L’ha intitolata “Ardilut” (valeriana selvatica), il cui disegno era stato scelto dal giovane Pier Paolo Pasolini per le sue pubblicazioni in friulano.
La collana parte in grande stile con tre volumi. Uno dedicato per la prima volta all’opera omnia delle poesie in dialetto veneto di Andrea Zanzotto. A esso si aggiunge un testo drammatico come “I Turcs tal Friul” di Pier Paolo Pasolini, in dialetto friulano. Infine, pubblicata anche una raccolta di versi in dialetto veneziano di un sensibile poeta lagunare contemporaneo come Francesco Giusti.
All’inizio IL DE VULGARI
Alla base di questa importante operazione culturale – che non ha in questo momento raffronti nell’editoria italiana –la rivendicazione di un bilinguismo tra italiano e dialetto che trova la sua forza proprio nella poesia, anche contemporanea, in uno scambio reciproco e fecondo.
E non a caso il testo più citato – quasi un manuale di riferimento – da Agamben per spiegare il significato di questa rivendicazione del bilinguismo allargato alla poesia è proprio il De vulgari eloquentia di Dante, tornando alle origini stesse della questione della lingua.
«È stato Dante» ricorda Agamben «a porre sotto il segno del bilinguismo la nascita della poesia italiana. Nel De vulgari eloquentia egli contrappone il volgare che, “i bambini apprendono da chi sta loro intorno appena cominciano a distinguere le voci”, e che “senza nessuna regola riceviamo imitando la nostra nutrice” alla “lingua secondaria, che i Romani chiamavano grammatica nella quale siamo regolati e istruiti solo attraverso uno spazio si tempo e assiduità di studi”. Nel momento stesso in cui decide di scrivere in volgare la sua poesia, a questo primo bilinguismo, Dante ne aggiunge subito un secondo, quello tra i volgari municipali e il volgare illustre, che paragona a una pantera profumata, “che fa sentire la sua fragranza in ogni città, ma non dimora in alcuna”».
La rinascita possibile
È proprio dalle stesse conclusioni di Dante che muove ora, aggiornandole, la nuova ricerca poetica di Agamben.
«L’ipotesi che questa collana propone» spiega ancora il filosofo «è che oggi alla grammatica di Dante corrisponda l’italiano come lingua nazionale e al volgare i cosiddetti dialetti e che, come allora, la poesia italiana, che sembra attraversare una fase di crisi o di stasi, potrà rinascere solo se tornerà a nutrirsi di questa intima diglossia. Non è certo un caso se la grande fioritura della poesia italiana del Novecento sia stata discretamente accompagnata da un’altra altrettanto grande fioritura della poesia in dialetto ed è probabile che esse siano così strettamente connesse, che senza l’una non avremmo avuto nemmeno l’altra».
Per questo “Ardilut” ripubblicherà testi ormai classici della poesia in dialetto come quelli appunto di Pasolini e Zanzotto, ma anche di nuovi poeti come Giusti che hanno scritto sia in lingua sia in dialetto.
Una ricerca che si allargherà in ogni direzione.
«La letteratura poetica dialettale» ricorda Agamben «era già fiorente nel Quattro e Cinquecento. Oggi il bilinguismo poetico è particolarmente presente in autori veneti e friulani, ma non solo. Tra i prossimi volumi che pubblicheremo, ad esempio, c’è quello che Pier Vincenzo Mengaldo dedicherà a Franco Scataglini, un grande poeta anconitano che ha fatto del suo dialetto, arricchito di arcaismi, una vera lingua d’autore. Ma guarderemo anche alla Sicilia, all’esperienza straordinaria di musicisti poeti come i fratelli Mancuso che hanno saputo recuperare materiali e moduli esecutivi della tradizione siciliana reinventandoli in uno stile personalissimo».
Antologia inedita
Ma, tornando ai primi volumi della collana appena usciti, è una grande novità anche la raccolta completa di tutte le poesie in dialetto di Andrea Zanzotto. «Può sembrare incredibile» sottolinea Agamben «ma finora le liriche dialettali di Zanzotto, sparse in varie raccolte, non erano mai state accorpate in un unico testo e accompagnate dalla traduzione in italiano. In più nel testo vi aggiungiamo la straordinaria “Ecloga in dialetto per la fine del dialetto”, sfuggita alle sillogi precedenti, in cui addirittura Zanzotto fa una sorta di abiura di tutta la sua produzione poetica in lingua, scrivendo tra l’altro “sempre c’era qualcosa di fasullo/in quello che scrivevo in italiano”».
Zanzotto insiste sul concetto di oralità legato all’uso del dialetto nella poesia. «Possiamo chiamare dialetto questa pura oralità» nota Agamben a proposito di Zanzotto «in cui non ha senso distinguere fra una lingua già sempre esistente come un sistema di regole grammaticali e la sua messa in atto in un’istanza di discorso, perché la parola “lievita” e “monta come un latte”».
Ma la questione della lingua è centrale anche in Pasolini, di cui la collana pubblica “I Turcs tal Friul”, dramma in friulano ispirato all’invasione dei Turchi nella regione alla fine del Quattrocento e tradotto in italiano da un apprezzato poeta friulano contemporaneo come Ivan Crico. Pasolini rivendica la dignità di lingua ladina al friulano e ricorda che «in ogni dialetto c’è «la possibilità di una lingua». «La poesia è costitutivamente ricerca e esperienza della lingua» ricorda ancora Agamben «ma, nel caso di Pasolini come alle origini della poesia italiana, il poeta è costitutivamente bilingue, deve fare i conti con una diglossia, i cui poli sono insieme distinti e dialetticamente connessi».
L’esperimento editoriale voluto da Agamben e dedicato alla persistenza e allo sviluppo della poesia bilingue potrà essere anche un antidoto all’idea ricorrente di confinare i dialetti in una sorta di minorità linguistica. La poesia per prima contribuisce a smentirla. —
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