La solitudine sentimentale di Gramellini secondo Bellocchio

Non piacerà solo a psicanalisti, sentimentalisti e “figli di mamma”, categorie molto presenti nel Bel Paese, “Fai bei sogni” che Marco Bellocchio ha tratto dal best-seller del giornalista della...
Di Michele Gottardi
12/05/2016 Cannes. 48 edizione di 'Quinzaine des realisateurs', una selezione parallela a quella ufficiale del Festival. Photocall del film Fai bei sogni. Nella foto Valerio Mastandrea, Berenice Bejo
12/05/2016 Cannes. 48 edizione di 'Quinzaine des realisateurs', una selezione parallela a quella ufficiale del Festival. Photocall del film Fai bei sogni. Nella foto Valerio Mastandrea, Berenice Bejo

Non piacerà solo a psicanalisti, sentimentalisti e “figli di mamma”, categorie molto presenti nel Bel Paese, “Fai bei sogni” che Marco Bellocchio ha tratto dal best-seller del giornalista della Stampa Massimo Gramellini. Coerente con la sua filmografia - nella quale i temi della perdita, dell’assenza forzata, delle psiche turbate, dei vincoli familiari, sono costanti imprescindibili - Marco Bellocchio traccia la drammatica storia di un bambino che perde la madre improvvisamente, morta a 39 anni per un “infarto fulminante” (o forse no), interrompendo un rapporto d’amore unico. Un legame così forte da lasciare Massimo, nove anni, totalmente spiazzato, col suo Edipo irrisolto, le assenze affettive, le bugie protettrici dei parenti verso di lui e le sue, autoprotettive, nei confronti dei compagni («la mamma vive in America»).

In questa solitudine sentimentale, Bellocchio si muove con abilità ed eleganza, alternando il deserto di un appartamento vuoto, esemplificato da un corridoio lungo e buio, ai riempitivi esistenziali di uno stadio affollato e appassionato, come il Comunale di Torino, lato Maratona granata. Ma nemmeno poi un mestiere da giornalista di successo riesce a far elaborare a Massimo (Valerio Mastandrea) il lutto dell’assenza materna, sino al distacco dalla casa paterna e all’arrivo di una fidanzata (Bérénice Bejo) che gli permetterà di recuperare una realtà negata che il suo stesso mestiere di inviato della Stampa, aveva accentuato, con la sua diaspora esistenziale.

Bellocchio traspone sullo schermo un romanzo di formazione e di lutto con la giusta attenzione alla pagina e allo schermo. E se più scontati e meno incisivi sono gli inserti della sua vita da giornalista, dal suicidio in diretta del Gardini di turno alla guerra in Bosnia, o i riferimenti alla storia d’Italia più recente, nei quali la poesia e l’onirismo del regista si affievoliscono, il film è delicato e preciso nella descrizione della vita del ragazzino, nel parlarci dei suoi sogni - non così belli come si auspicava la mamma - popolati di mostri cinematografici come il “Nosferatu” di Murnau o “Il bacio della pantera” di Jacques Tourneur e soprattutto di un eroe dell’horror televisivo della sua e nostra adolescenza, il “Belfagor, fantasma del Louvre” targato Pathé, cui Massimo chiede aiuto e forza per la sopravvivenza, in un evidente transfert della figura paterna troppo esile.

È la storia insomma di una lunga malattia che porta infine a una guarigione tardiva, ma sicura, anch’essa, come il dolore della perdita, basata su un amore ritrovato.

Durata: 124’ . Voto: *** ½

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova