L’arte del vetro Il viaggio di Venini nella modernità

di Silva Menetto
Non è da tutti inventare uno stile: Paolo Venini lo fece, portando nel mondo dell’imprenditoria, della cultura e delle arti decorative la “veninità”. Più che di uno stile c’è chi - come Pasquale Gagliardi, segretario generale della Fondazione Cini - lo definisce una categoria dello spirito. Per scoprire che cosa sia questa “veninità” basta andare a visitare la nuova esposizione allestita da “Le Stanze del Vetro” all’isola di San Giorgio Maggiore (fino all’8 gennaio). “Paolo Venini e la sua fornace” è la quinta mostra dedicata ai vetri Venini del progetto specifico ideato da Fondazione Giorgio Cini e Pentagram Stiftung per rilanciare l’arte vetraria e riportarla al centro dell’attenzione internazionale.
Dopo le monografiche - tutte curate come questa da Marino Barovier - sui vetri che Carlo Scarpa, Napoleone Martinuzzi, Tomaso Buzzi e Fulvio Bianconi realizzarono per Venini, era arrivato il momento di parlare dell’artefice del rinascimento che il vetro di Murano conobbe nel Novecento attraverso le creazioni di famosi designer. Paolo Venini fu il grande regista di una operazione di sdoganamento della produzione vetraria muranese verso la modernità e l’internazionalità. Quando nasce un’opera d’arte in vetro, alle spalle ci deve essere il fortunato incontro di tre elementi fondamentali: un designer creativo, un maestro vetraio esperto e un imprenditore illuminato che capisca il valore del progetto e ne decida la commerciabilità. La fornace di Paolo Venini per un lungo arco di tempo - dal 1925 al 1959, anno della sua scomparsa - è stata il luogo di elezione di questi incontri. Imprenditore illuminato, uomo di vasta cultura e gusto artistico, Venini ha incarnato un modello di capitano d’industria all’avanguardia. Designer, anche senza aver mai disegnato, conoscitore delle tecniche di lavorazione e cacciatore di talenti, seppe dare alla produzione della sua fornace una spiccatissima personalità. Ogni vetro che usciva era firmato “Paolo Venini”, un marchio indelebile. Chi avrebbe pensato di produrre curiosi pesci in vetro su disegno di Ken Scott, signore della moda floreale in technicolor? Venini lo fa. Quei pesci colorati ora sono in mostra dentro una favolosa vetrina-acquario, come sospesi a nuotare nel mare. È ancora Venini a produrre vasi e coppe con inserti in murrine disegnate da Riccardo Licata; lui a realizzare le stravaganti bottiglie disegnate dall’architetto Gio Ponti, il bestiario in vetro iridato disegnato dalla ceramista svedese Tyra Lindgren, i lavori di Massimo Vignelli, Piero Fornasetti e Tobia Scarpa. Venini rincorre il “moderno” anche rileggendo in chiave innovativa alcune tecniche tradizionali come quella dello zanfirico o il mosaico tessuto multicolore, inventando in fornace, assieme ai suoi maestri vetrai, i vetri “Diamante” o gli “incisi”, utilizzando placchette coloratissime per creare vetrate d’arredo come quelle presentate con successo alla Triennale del 1957. Per Venini ogni Triennale di Milano, ogni Biennale di Venezia, è una sfida a proporre oggetti sempre nuovi, qualcosa che non sia canonico: in questo consiste la “veninità”. E a guardarli oggi tutti qui riuniti questi pezzi che hanno fatto la storia del vetro muranese del Novecento, si avverte che la mostra non è un momento celebrativo ma qualcosa di vitale.
Gli oggetti esposti, così come i bozzetti e le foto, raccontano una storia di successo che ha saputo cambiare il gusto degli italiani e non solo. Dalla fornace di Venini insomma sono usciti capolavori di altissima qualità che hanno segnato un’epoca; ma del resto tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta a Murano erano attivi i “giganti” dell’arte vetraria veneziana del XX secolo e il confronto e la competizione tra ditte, avvenuto soprattutto attraverso le esposizioni alla Biennale, hanno portato a risultati eccezionali per il vetro muranese. Un’esperienza che andrebbe rilanciata per dare nuova linfa alla produzione vetraria contemporanea, destinando nuovamente il Padiglione Venezia della Biennale alle arti decorative, come è stato fino al 1971. La Fondazione Cini e Pentagram Stiftung lo hanno scritto nel libro dei desideri delle “Stanze del vetro”.
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