Le note di Schubert tra le stelle
A Padova Angius dirige l’Opv: «“La Grande” è in sintonia con il cosmo»

NGC 3603 is a starburst region : a cosmic factory where stars form frantically from the nebula’s extended clouds of gas and dust. Located 22,000 light-years away from the Sun, it is the closest region of this kind known in our galaxy, providing astronomers with a local test bed for studying the intense star formation processes, very common in other galaxies, but hard to observe in detail because of their large distance. The newly released image, obtained with the FORS instrument attached to one of the four 8.2-metre VLT Unit Telescopes at Cerro Paranal, Chile, is a three-colour combination of exposures acquired through visible and near-infrared (V, R, I) filters. This image portrays a wider field around the stellar cluster and reveals the rich texture of the surrounding clouds of gas and dust. The field of view is 7 arcminutes wide. This image is available as a mounted image in the ESOshop.
PADOVA. «Lo dico apertamente: chi non conosce questa Sinfonia, conosce ancor poco Schubert; e questa lode può sembrare appena credibile se si pensa a tutto quello che Schubert ha già donato all’Arte». Così scriveva Robert Schumann nella sua Nuova Rivista Musicale. Nel 1838, a dieci anni dalla morte prematura di Franz Schubert, si recò a Vienna e andò al cimitero di Whäring per deporre fiori sulla tomba di un compositore ancora sostanzialmente misconosciuto e che proprio Schumann avrebbe contribuito a far riscoprire. Fece poi visita al fratello di Franz, Ferdinand, che ne aveva raccolto i manoscritti, moltissimi dei quali rimasti inediti. Fu così che riapparve la partitura della Sinfonia in do maggiore, poi detta “La Grande” per le sue dimensioni e per distinguerla dalla Sesta, nella stessa tonalità, poi invece detta “La Piccola”. L’opera ritrovata, che risaliva agli anni 1825-28, era stata offerta dall’autore alla Società degli Amici della Musica di Vienna. Probabilmente fu anche provata dall’orchestra, ma venne giudicata troppo lunga e ineseguibile, soprattutto per il difficile attacco dei violini nel tempo finale. Così la sinfonia restò nell’oblio. D’intesa con Ferdinand, Robert la inviò subito a Mendelssohn (allora a capo della Gewandhaus di Lipsia) che diresse la prima esecuzione il 21 marzo 1839. La Breitkopf & Härtel ne curò nel 1840 l’edizione e da allora questo capolavoro è oggetto dell’ammirazione di tutti ed è caposaldo ineludibile del sinfonismo ottocentesco, carico di premonizioni di Bruckner e Mahler.
I padovani avranno l’opportunità di ascoltare “La Grande” nella Cornice del Castello Carrarese, stasera alle 21.30. Chiuderà così il “4Franz Festival” e si tratterà di un evento davvero particolare. Ricorrendo il 250esimo anniversario della Specola, l’Inaf-Osservatorio astronomico di Padova, durante l’ascolto, proietterà immagini dell’Universo e dei pianeti per «collocare i suoni nello spazio cosmico che ci attornia». L’Orchestra di Padova e del Veneto sarà diretta da Marco Angius.
Questa Sinfonia, nei diversi cataloghi, è classificata come Settima, Ottava, Nona. Per taluno è addirittura la Decima. Voi avete optato per definirla Ottava.
«Abbiamo adottato l’edizione critica della Bärenreiter, che usa questa numerazione, lasciando perdere l’inclusione di lavori rimasti allo stato d’abbozzo, o ritenuti persi».
Schumann parlò, proprio per questa Sinfonia, di «lunghezza celestiale», definizione che vale spesso in Schubert. L’Ottava dura più di 40 minuti, con tutti i ritornelli può arrivare a superare l’ora.
«Noi faremo anche i ritornelli, ma non tutti, così da arrivare a una durata di 50 minuti, perfettamente coincidente con quella delle proiezioni, con le quali c’è una sintonia molto forte».
Ci può anticipare cosa vedrà il pubblico?
«Ci sarà un maxischermo alle spalle dell’orchestra sul quale gradualmente si dipanerà, a ritroso, un viaggio siderale dal cosmo verso la terra. Nulla di statico, dunque, ma tutto in movimento. Immagini riprese dal satellite si alterneranno con altre rielaborate al computer. Tra musica e video non c’è una banale sincronia, ma, come dicevo, sintonia. L’affinità è dettata dalla dilatazione della forma e dalla sospensione del tempo che persegue Schubert. A differenza di Beethoven, che taglia la forma in modo netto e contrappone dialetticamente i suoi temi, Schubert li giustappone, quasi senza svilupparli, rivisitando continuamente, come in un viaggio, certe cellule motiviche. Anche se forse non ascoltò in vita nessuna delle sue sinfonie, era un orchestratore raffinato. Per rispettare i suoi equilibri, trovandoci all’aperto, l’organico dei nostri archi sarà notevolmente ampliato».
Massimo Contiero
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