Lo “Sconcerto” di Elio davanti all’orchestra: «Il disordine è una condizione naturale»

Da martedì prossimo al Verdi di Padova per la stagione dello Stabile, musiche di Battistelli e testo di Marcoaldi
15/05/2016 Torino, Elio e Le Storie Tese in concerto
15/05/2016 Torino, Elio e Le Storie Tese in concerto

PADOVA.

Diresti che è questione di attimi, la sensazione di sconcerto. Il tempo di orientarsi, di ritrovarsi. Di fare i conti con un fatto inatteso come andare a teatro e una volta lì scoprire che il direttore d’orchestra – proprio lui – non ha (più) idea di cosa fare. Diresti che è questione di attimi e invece Sconcerto, con la s maiuscola, è lì da otto anni.

Nato come «allarme per un paese narcotizzato» – così lo definiva Toni Servillo, che è stato il direttore confuso protagonista della prima edizione – si è conservato fresco e attuale, e forse lo è anche di più. Così lo ha “trovato” Elio, ossia Stefano Belisari, che dopo la fine delle Storie Tese si è buttato a capofitto in nuove avventure musicali. E così lo porterà in scena da martedì a domenica prossimi al Verdi, in una produzione del Teatro Stabile del Veneto, con il testo originale di Franco Marcoaldi, solo un po’ ritoccato, con le musiche del compositore contemporaneo Giorgio Battistelli (quello delle Lezioni di Suono della scorsa stagione), con l’Orchestra di Padova e del Veneto e con la presenza – in qualche modo sconcertante – di Luca Mangoni, il Supergiovane (e tanto altro) delle Storie Tese.

Elio, partiamo dalla parola sconcerto. La scelta di questo titolo era sembrata attuale già nel 2010 e lo è ancora. Possiamo considerarla ormai una condizione permanente?

«Sì, lo sconcerto in Italia è un termine sempreverde. Il testo mi piace, sembra scritto oggi e questa cosa non è neppure così sorprendente. Anche la terra dei Cachi è attuale. Dal 2010 molte cose sono addirittura peggiorate».

Lo spettacolo racconta – o anzi, si compie – nel tentativo di mettere ordine tra parole e musica. Ed è forse il disordine più che l’ordine a farci riflettere.

«È la condizione naturale delle cose. Poi ci vuole energia per mettere ordine. Questo spettacolo è il tentativo disperato del maestro di ritrovare un filo».

Ci sono analogie con Prova d’orchestra di Fellini, anche se lì era l’orchestra a ribellarsi al direttore?

«Anche qui c’è una parte in cui l’orchestra va per conto proprio, ma al centro c’è il direttore. È una sorta di Tac che si fa al suo cervello. Poi c’è anche un dialogo con i musicisti, a un certo punto un membro si alza e inizia un dialogo».

Come è arrivato a questa produzione?

«Come sempre. Mi hanno chiesto di farlo e io sono istintivamente curioso e onnivoro. Vedo se è una cosa che sono in grado di fare e la faccio. Mi piace lavorare su diversi terreni. Questo non è sicuramente tra gli spettacoli più facili che io abbia affrontato però è molto interessante».

L’hanno battezzato teatro di musica.

«C’è teatro ma io lo vivo prevalentemente da musicista. Mi piace questo accostamento tra voce e musica. Anche se non canto mi sembra quasi di farlo, c’è qualcosa di musicale anche nella voce parlata».

Ha già provato lo spettacolo?

«Sì, ma è difficile e dobbiamo provare ancora. Intanto nessuno crede che io sia il direttore vero, poi non stiamo parlando di Rossini o Mozart che già sono complicati ma di musica contemporanea che è ancora più difficile e richiede un maestro con le palle che non sono io. Quindi bisogna che il maestro vero faccia il suo lavoro e diriga l’orchestra e in parte anche me».

Nella crisi del direttore d’orchestra si può leggere il nostro spaesamento, la mancanza di riferimenti?

«La prima frase incanala tutto. Il maestro dice “per dirigere un’orchestra bisognerebbe prima dirigersi la testa”. Uno istintivamente, quando va a un concerto o a un’opera lirica, non pensa che nella testa del maestro possano esserci dubbi. Invece qui si scopre che nella sua testa c’è un caos infinito, e lui tenta di risolverlo con tutta l’orchestra».

Dopo la fine delle Storie Tese continuano le sue escursioni nella musica senza confini di genere. Però lei aveva annunciato di voler diventare un influencer.

«Sono tutte parentesi che hanno inizio e fine. Intanto nutro la mia anima onnivora e poi mi guardo intorno perché non ci si inventa influencer, ci vuole un minimo di apprendistato. Dalle ultime cose che sono accadute a Fedez, tra l’altro, mi sono reso conto che essere influencer può essere pericoloso». —


 

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