Marinelli: «Il mio Re Lear vive tra sogni e ricordi»

Il regista in scena nella sua Este con l’interpretazione dell’opera shakespeariana «Ho provato a cercare la modernità che alberga nel Bardo, non fuori»
Di Nicola Cesaro

PADOVA. Per un attimo ha persino pensato di fare Lear senza Lear. Solo il pallore del suo produttore, scioccato dalla proposta, lo ha deviato dall’intento. Che sia uno sperimentatore già lo si sapeva, ma è proprio nella trasposizione shakespeariana che Giancarlo Marinelli ha trovato vero terreno fertile per le sue idee di teatro. Mercoledì, al Teatro Farinelli di Este, sarà proprio il suo originale “Re Lear” ad aprire “Unità d’Intenti”, la nuova stagione teatrale del Comune.

L’esordio non poteva che essere affidato a Marinelli, talento di casa: nato e vissuto a Este, è scrittore (due volte finalista del Premio Campiello), regista e sceneggiatore (con lui hanno lavorato nomi come Debora Caprioglio e Ivana Monti), attore, editorialista, docente e drammaturgo. Il suo “Re Lear” vedrà salire sul palco Giuseppe Pambieri, Silvia Siravo, Guenda Goria e Stella Egitto, astro nascente oggi al cinema nell’ultimo film di Pif. L’opera, che è rimasta a Roma dall’1 al 21 novembre al Teatro Ghione, arriva a Este per l’unica tappa veneta e prosegue il lavoro di originale trasposizione shakespeariana di Marinelli cominciato con “Il mercante di Venezia”. «Come nel “Mercante”, ho provato a trovare la modernità dentro il Bardo e non fuori» anticipa il regista «niente stravolgimenti estetici, niente aggiornamenti modernisti. Sono partito, come ormai faccio sempre, dai miei sogni. In questo caso da un sogno che conteneva un ricordo. Mi appariva di continuo un casa rossa con tre donne che da lì non potevano uscire; tre donne che aspettavano qualcuno. Non sapevo esattamente chi. Il riferimento era “Sussurri e Grida” di Ingmar Bergman. Tre donne e la figura maschile, il Lear, che non c’era. Per un attimo ho addirittura pensato di fare Lear senza Lear. Solo le figlie. Era troppo. Il povero Palmieri, produttore dello spettacolo, impallidì quando glielo dissi. Lear alla fine c’è. È Giuseppe Pambieri. Che echeggia il “Ran” di Kurosawa. Un imperatore orientale con attendenti simili a samurai. Eppure in un certo senso Lear continua a non esserci. Perché guarda alle figlie non come appaiono al pubblico. Bisogna attendere il finale, la morte del re, fatta a modo mio, per capire a cosa mi riferisco».

Marinelli, che in questa trasposizione dimentica politica e guerra per lasciare più spazio ai sentimenti, paradossalmente spiega di aver «fedelmente tradito il Bardo. Ho tenuto tutto e niente. Ho portato uno spettacolo che dura 5 ore a poco più di 2, tenendo il linguaggio alto ma semplificando l’ingarbugliatissima trama fatta di storie e sotto storie. Ho inserito momenti scritti di sana pianta da me. Che corrispondono all’emozione che ho provato leggendo la tragedia. In fondo, da tempo, ormai faccio solo questo. Non metto più in scena il testo. Ma l’emozione che provo leggendolo».

I venti giorni romani del Ghione sono stati una conferma continua di pubblico ed entusiasmi, dopo quelli già raccolti nei festival estivi. Dopo Este, il “Re Lear” di Marinelli andrà al sud per alcune repliche. Poi si fermerà per gli impegni pregressi di Pambieri per riprendere nel 2017 anche in altri teatri veneti. Marinelli, intanto pensa a un nuovo lavoro: «Tornerò alla regia ma di un testo scritto di sana pianta da me. È ispirato alla storia di un mio fraterno amico. Si chiamerà “L’idea di ucciderti”. C'è un uomo davanti a un pubblico ministero che confessa di aver fracassato il cranio della moglie. Si parte da lì».

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