Morbi e deformità tutta la scienza dietro il macabro

Un libro svela i segreti custoditi a Padova nel museo dell’Istituto di Anatomia Patologica
Di Simonetta Zanetti

di Simonetta Zanetti

Due gemelli siamesi fluttuano silenziosi nell’eternità di un liquido amniotico artefatto. Racchiusi nel loro barattolo di vetro, sembrano custodire il mistero del corpo umano, non un fisico normale, ma eccezionale nella sua mutazione patologica. Raccontano la terribile, selvaggia fantasia del morbo e la storia di quegli scienziati che hanno dedicato la loro vita a comprendere e sconfiggere la malattia. Le vicende degli uni e degli altri sono custodite al Museo di Anatomia patologica Morgagni di Padova, e ora raccontate nel libro “Sua Maestà Anatomica. Il potente e oscuro splendore della malattia” di Ivan Cenzi, Carlo Vannini e Alberto Zanatta, primo di una trilogia dedicata al perturbante e al macabro che viene presentato oggi alle 17.30 al museo di cui sopra (con possibilità di visitare l’esposizione scrivendo a sara.castellini@logos.info). «La precedente trilogia indagava i luoghi sacri che consentono il contatto con i defunti e l’elaborazione del lutto attraverso studi antropologici, come nel caso del cimitero delle Fontanelle di Napoli» spiega Cenzi, 38 anni di Asiago «mentre con questo libro dedicato al museo padovano, iniziamo una nuova trilogia incentrata sugli studi del perturbante e del macabro attraverso la storia e la cultura. Trattiamo di malattia e morte, spazi difficili da affrontare in un periodo storico improntato sulla salute e l’immagine perfetta. In questo senso è una sfida quasi sovversiva».

La scelta è caduta sul museo Morgagni, tra i tanti visitati in tutti i continenti da Cenzi, poiché garantisce un vero salto nel tempo «grazie alla stratificazione storica che altri luoghi non hanno» spiega il curatore «qui ci sono ancora i mobili di allora e si può quasi vedere la polvere che si è depositata nel tempo. I pezzi che sono custoditi qui parlano del passato molto più che altrove, dove la smania di modernizzare tutto finisce per far perdere qualcosa».

In questo libro, il lettore viene preso per mano e accompagnato a osservare le meraviglie del museo che, oltre a raccogliere documenti e scritti di Giovanni Battista Morgagni, ospita oltre 1.500 preparati, consegnati alla storia tramite una conservazione che può essere a secco, in alcol o formalina o tannizzata; questi reperti non soltanto documentano i morbi e le disfunzioni più terribili, ma aprono anche una finestra su quello che significava essere ammalati due o trecento anni fa. Reperti che sono storie in cui arte, scienza e sacro si mescolano, come nel caso della “Suicida punita”, una cucitrice diciottenne che si tolse la vita nel 1863 in seguito a una delusione amorosa. Rinvenuta annegata sull’argine del fiume che al tempo scorreva dietro al Giustinianeo, venne tannizzata da Lodovico Brunetti che ne riprodusse perfettamente la fisionomia: «Per nascondere i segni dei ganci usati per recuperare il cadavere, Brunetti aggiunse dei serpenti - anch’essi tannizzati - in procinto di divorarle il volto come allegoria del destino infernale riservato a un suicida» racconta Cenzi «si tratta di un preparato di “anatomia artistica” che oggi sarebbe improponibile dal punto di vista etico». Il libro non vuole rappresentare tuttavia una declinazione del voyeurismo morboso: oltre all’indubbio valore scientifico - con «calcoli renali grossi come arance» e l’incontro con malattie debellate come la sifilide e il vaiolo - rappresenta una sorta di pungolo: «È macabro nel senso più nobile del termine, ovvero quello che stimola la ricerca della meraviglia secondo la concezione platonico-aristotelica che è incanto ma anche inevitabile terrore» chiarisce Cenzi «non certo nell’accezione disneyana, quindi, ma inteso come quel misto di stupore e angoscia primigenio alla base di ogni curiosità e indagine filosofica». Una collezione apparentemente “difficile”, ma che ha il coraggio di guardare tutte le espressioni dell’umano. Anche le meno piacevoli.

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