Mostre, libri e turismo: la Padova dei film set cinematografico naturale o “artificiale”

PADOVA.
Dick Bogarde inseguito dalla polizia segreta cecoslovacca entra dall’Arco Vallaresso, a Padova, si infila precipitosamente nel portone della Scuola Carraresi e si ritrova miracolosamente nello scenografico atrio di Villa Contarini a Piazzola, sede dell’ambasciata inglese a Praga. Magie del cinema, che trasformano la Città del Santo nella capitale mitteleuropea nel film “Troppo caldo per giugno”, di Ralph Thomas. Il film, girato nel 1964 quando Praga era off-limits per le produzioni occidentali, è pieno di questi inganni visivi (il Caffè Pedrocchi spacciato per l’Hotel Slovenska, ad esempio), ma testimonia soprattutto quella versatilità (o fotogenia) che ha fatto di Padova nei decenni il set cinematografico ideale per le vicende più disparate: con un precedente illustre, la magnifica invenzione della “Bisbetica domata” di Shakespeare, di cui in città sono state girate almeno otto versioni filmiche, come annota scrupolosamente Piero Zanotto in “Veneto in film”.
Un repertorio in cui, naturalmente, a farla largamente da padrona è Venezia (750 titoli sui circa 1100 censiti dalle origini al 2002, anno di uscita del libro), ma bene si piazza anche il Bellunese, grazie ai suoi panorami dolomitici, e persino Rovigo, che ha appena dedicato una mostra al suo passato da Cinecittà in riva al Po.
Ma adesso anche Padova sta approfondendo e valorizzando la sua vocazione cinefila, testimoniata da oltre un’ottantina di produzioni dalle origini della settima arte ad oggi. Fino a domenica ad esempio è in corso al cinema Rex, che festeggia i suoi 60 anni, una piccola mostra realizzata da La Specola delle idee col contributo del Rotary, che illustra col supporto di manifesti d’epoca e schede realizzate da Massimo Malaguti una quindicina di film ambientati in città, a partire dal musical del 1953 “Kiss me Kate”, diretto da George Sidney con musiche di Cole Porter, ennesima versione de la Bisbetica domata.
Anche l’Università si è accostata al fenomeno, analizzandone in particolare, con un progetto del Fondo sociale europeo, le ricadute di immagine sul territorio e la crescita del cineturismo, cioè i flussi di visitatori nei luoghi dove sono stati girati alcuni film (ad esempio nella Chioggia di “Io sono Li” di Andrea Segre), ma anche negli studi di produzione, ai parchi a tema e alle case delle celebrità.
In diverse occasioni, dalla Fiera delle Parole alla Notte dei ricercatori, sono stati presentati itinerari alla scoperta delle location cinematografiche, proponendo spezzoni di film esattamente nei luoghi in cui sono stati girati: ad esempio il Teatro anatomico per il “Galileo” di Liliana Cavani, o la piazza delle Erbe per le scene dell’auto che esplode e del carro armato che si arrende ai partigiani in “I piccoli maestri” di Daniele Lucchetti.
Tutte queste suggestioni hanno trovato un’organica sistemazione nel volume “Veneto 2000: il cinema”, curato da Antonio Costa, Giulia Lavarone e Farah Polato (Ed. Marsilio, 12 euro) che, come indica il sottotitolo “Identità e globalizzazione a Nordest”, analizza col contributo di una ventina di studiosi come il sistema-cinema della Regione abbia cercato di interpretare le recenti tensioni tra rivendicazioni localistiche e spinte della mondializzazione. Il libro delinea i mutamenti nelle modalità espressive, l’emergere di nuove figure registiche (Andrea Segre, Alessandro Rossetto, Marco Segato) e il consolidarsi di nuove strutture produttive, distributive, dell’esercizio, dell’audiovisivo (dal Gruppo Alcuni, ai premi, ai festival, al Master di sceneggiatura dedicato a Carlo Mazzacurati) a partire dal 2000, presa come data-simbolo perché segnò il ritorno nel Veneto proprio di Mazzacurati, impegnato nella realizzazione dei tre Ritratti di Meneghello, Zanzotto e Rigoni Stern con Marco Paolini e Francesco Bonsembiante della Jolefilm, realtà produttiva divenuta presto l’emblema di un rinnovato dialogo fra locale e globale.
In questa nuova realtà articolata e mutevole spicca purtroppo una costante, rilevata dal decano della storia e della critica cinematografica Giorgio Tinazzi: «Il vuoto, o quasi, dell’intervento pubblico. Perché la Regione non ha un progetto di intervento nel settore della produzione di immagini?». Domanda pregnante, se si considera che a un anno dall’istituzione della Fondazione per la Film Commission regionale, a questo deputata, Palazzo Balbi non ha ancora scelto il Consiglio di amministrazione. —
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