Motta: «Dopo questo tour mi fermo e scrivo Amo lo Sherwood, qui si respira passione»

Intervista
Torna in Veneto, Motta. Con un concerto libero dalle presentazioni di dischi: l’appuntamento è per venerdì allo Sherwood di Padova (parcheggio Nord dello Stadio Euganeo, dalle 21).
Come sono andate le prime date del tour?
«Molto bene. C’è stato un cambio generazionale, che è sempre utile a far continuare i progetti più a lungo. È un tour che mi sta piacendo da morire, perché è libero: sintesi tra la tournée dell’estate scorsa e quella de “La fine dei vent’anni”. Non legato a un disco, ma alla voglia di fare un ultimo tour, prima di fermarmi un po’».
Fermarsi per scrivere o per vivere?
«Per scrivere».
Scrivere è ancora una sofferenza per lei?
«Meno. Ho più voglia di godermi le cose ed essere felice quando vado a dormire. Sono cambiate diverse cose, ho messo a posto situazioni a me care. Non mi divertirò a fare il disco nuovo, ma non vedo l’ora».
Cosa significa?
«È come quando si è in terapia: non vuoi farla perché significa che stai male, ma allo stesso tempo non vedi l’ora perché poi starai bene».
Il suo primo “terapeuta” è stato Sinigallia, quindi Pacifico. Chi sarà il prossimo?
«Mi piace sempre di più collaborare con altri artisti, ma non ho ancora deciso quale sarà il team per il prossimo disco».
Da che parte sta andando musicalmente?
«Vorrei estremizzare quello che ho fatto finora. Andare verso la psichedelia e verso la forma canzone. Mi sento libero come lo ero con il mio primo disco. Ho aperto tante porte, cercando sempre di fare quello che non riuscivo a fare. E ci sono ancora tantissime cose che non so fare: sono fortunato».
A Sanremo ha portato un brano piuttosto politico. Pensa sia “dovere” dell’artista esprimere la propria posizione?
«L’artista deve avere un ruolo, trovando una sintesi. Essere superiore alle critiche cercando una maniera costruttiva per dire cosa speri possa cambiare».
È ottimista pensando al futuro?
«Non molto, però cerco di esserlo, perché ho fiducia nell’essere umano e in alcune persone: quelle che scelgo di incontrare».
Si sente affine a chi viene ai suoi concerti?
«Sono chiaro nelle mie canzoni, difficilmente tra i miei ascoltatori ci sono persone che si schierano dalla parte opposta alla mia. Purtroppo, perché faccio questo mestiere anche per convincere chi non la pensa come me a cambiare idea».
E lei cambia idea facilmente?
«Quasi mai. Però non vedo l’ora di farlo».
Su cosa ?
«Su un certo tipo di persone e su un certo tipo di educazione. Ma non sono pessimista».
Che concerto sarà quello di Padova?
«Con una sua dinamica. Nella scaletta ho inserito brani suonati molto forte e altri molto piano. Ci sono quasi tutte le canzoni dei miei due dischi, più alcune dei Criminal Jockers, il gruppo in cui suonavo prima di darmi alla carriera da solista».
Torna allo Sherwood: le piace?
«È tra i festival che preferisco. Perché è pieno di persone appassionate di musica e perché non ti fa mancare niente, anche le piccole cose. Qui la gente va volentieri ai concerti». —
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