Mušič, un urlo silenzioso da Dachau

Il Museo “Revoltella” di Trieste ospita fino al 27 aprile la mostra “Zoran Mušič. Occhi vetrificati”, basata su 24 disegni che l’artista realizzò nel 1945, mentre era imprigionato a Dachau. Ogni disegno è un urlo silenzioso, fissato a matita o inchiostro sui supporti più disparati: fogli di quaderno, carte di riciclo e perfino libri, per dare forma, e in qualche modo esorcizzare l’orrore, creando opere d’arte. Ventiquattro testimonianze su Dachau, in presa diretta da chi vi era deportato, marchiato con il tragico “Triangolo Rosso” dei deportati politici. Testimonianze che nella storia dell’arte possono essere avvicinate a quelle di Goya.
Dei disegni, 23 erano stati “dimenticati” tra i fascicoli d’archivio nella sede dell’Anpi, Aned, Anppia e uno nella sede dell’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli Venezia Giulia, da cui sono emersi nel luglio 2016 nel corso di una ricerca che il professor Franco Cecotti, collaboratore dell’istituto e oggi vicepresidente dell’Associazione Nazionale Ex Deportati, stava conducendo. Oggetto del suo interesse era una cartella contenente ciclostilati e materiali intitolati “Gli italiani in Dachau” del maggio ’45. La stessa data era riportata su una seconda cartella, “Disegni campo Dachau”, dalla quale sono emersi i disegni di Mušič.
Realizzate appena dopo l’arrivo degli Alleati, quando l’artista sopravviveva nel campo in una sorta di quarantena, sopraffatto dall’angoscia che lo torturava, le opere riunite in mostra facevano parte di un corpus più ampio di pezzi che l’artista in parte donò ai compagni sopravvissuti, poi andati dispersi, con la fortunata eccezione del nucleo esposto al Revoltella. Mušič per anni non riuscì a misurarsi con l’angoscioso ricordo del lager. Si dedicò a raccontare l’amata Venezia e i paesaggi dalmati. Fino agli anni Settanta: dopo un quarto di secolo, riuscì a proporre nella serie “Non siamo gli ultimi” «l’orrido che è insito nell’uomo».
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