Musica sottozero, il violoncello di ghiaccio

Sollima ha suonato a Venezia, a San Giorgio, il suo incredibile strumento: Bach, Vivaldi, Hendrix e un messaggio sul pianeta

VENEZIA. Un violoncello di ghiaccio, un virtuoso in mezzi guanti, giacca a vento e berretto di lana calato sulla testa. Al posto del palcoscenico, una bolla tenuta sotto zero e per evitare problemi, rinfrescata anche da due ventilatori.

Il concerto che non si era mai visto, e molto probabilmente non si vedrà mai più, lo hanno chiamato flash mob, che si potrebbe tradurre con un chi-c’è-c’è, ed è andato in scena ieri poco dopo le 18 nella Basilica di San Giorgio Maggiore, a Venezia. Il virtuoso Giovanni Sollima ha suonato il suo violoncello di ghiaccio per un pubblico di poco più di cento persone, in una tappa del progetto “N-Ice Cello”. Dopo il successo di Trento (doppia esecuzione al Muse per accontentare tutti), e prima di Roma e Palermo. Incredibile la sonorità espressa dallo strumento: a occhi chiusi non si potrebbe assolutamente immaginare il materiale di costruzione. Il breve tour sarà immortalato da un docu-film di Corrado Bungaro. Il viaggio ha nel team anche lo scultore e liutaio Tim Linhart, creatore del violoncello di ghiaccio e Alpha, giovane migrante arrivato in Italia dalla Guinea.

Sollima, come è nata l’idea di suonare un violoncello di ghiaccio?

«Circa dieci anni sono entrato in contatto con Tim Linhart che aveva esplorato i principi della scultura del ghiaccio con quelli della liuteria. Ho capito le possibilità e le sonorità del ghiaccio. Mi sono innamorato del ghiaccio e del suo suono. Ho pensato a questa cosa per dieci anni quasi ogni giorno. Spesso ci siamo sentiti per parlare del progetto, e alla fine ce l’abbiamo fatta. Con il regista Corrado Bungaro abbiamo infine deciso di immortalare questa avventura con un docu-film».

Dieci anni sono serviti per risolvere problemi tecnici?

«No, il fatto è che avevamo altri impegni. Ma sono stati utili perché Tim ha affinato la sua tecnica, tant’è che oggi lo strumento è magnifico. È un grande violoncello con una sonorità ancestrale, di un’altra dimensione. Il ghiaccio crea una risonanza come se avesse una vibrazione simpatetica. Non ingrandisce il suono ma lo riverbera. Lo strumento ricorda la viola da gamba e qualcosa di ancora più antico. È un vero violoncello per staticità, stabilità, bombatura, tenuta dell’accordatura. Le meccaniche sono normali, non di ghiaccio. Il manico è di legno, le corde sono normali ma per il resto l’anima interna, il ponte, è tutto di giacchio. Il ghiaccio della cassa armonica vibra come il legno di uno strumento tradizionale».

Lei suona in una specie di bolla, che mantiene il freddo.

«Lì dentro la temperatura è variabile da meno 6 a meno 10, per mantenere lo strumento e impedire che si sciolga. Devo dire che sono un tipo atermico, e quando suono non mi rendo conto del freddo. Prima del concerto a Trento ho fatto una prova e ho suonato per 50 minuti senza accorgermene. Tim, per sicurezza, ha fatto due violoncelli. Quando non suono gli strumenti sono conservati a meno 20 gradi nel furgone freezer con cui li trasportiamo».

Come ha scelto il repertorio per il ghiaccio?

«Musica antica, Bach e brani miei. Ci sono anche canti popolari dell’Italia del Nord e del Sud. A Venezia, aggiungo Vivaldi, e “Angel” di Jimi Hendrix».

Il progetto vuol far riflettere sulla crisi globale dell’acqua.

«È un modo per raccontare lo stato del nostro pianeta. L’acqua è un motivo di cattiva interazione fra i governi e un grande business. Il nostro è un viaggio che innesca una serie di ragionamenti sulla condizione dei ghiacciai e dell’acqua. Ma è anche dedicato al tema delle migrazioni che normalmente sono da Sud a Nord, mentre noi con il nostro viaggio attraverseremo l’Italia da Nord a Sud. A Palermo, il violoncello di ghiaccio finirà il suo viaggio in mare, dove galleggerà e poi si scioglierà».

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