Nato per un ragazzo, torna per l’anniversario “Signore delle cime” risuona al Bertagnoli

E pensare che quando fu eseguito per la prima volta, “Signore delle cime”, il più celebre fra i canti corali di montagna in tutto il mondo, aveva un titolo (e un inizio) un po’ diverso – “Signore delle vette” – e il suo autore, Bepi De Marzi, per anni non lo tenne nemmeno in repertorio.
Il maestro l’aveva composto di getto al pianoforte nel 1958, appena ventitreenne, su richiesta del neonato coro del Cai di Arzignano (che cinque anni dopo avrebbe preso il nome Crodaioli) per ricordare Bepi Bertagnoli, uno studente arzignanese che aveva fatto la Resistenza ed era stato travolto da una valanga nella zona della Scagina, sulle Piccole Dolomiti, sette anni prima. Durante le prove un corista fece osservare al maestro che “vette” suonava un po’ duro, e così nell’ottobre del 1958, quando lo cantarono per la prima volta durante la messa per l’inaugurazione del rifugio dedicato a Bertagnoli, quel canto pieno di dolore, di poesia e di speranza, diventò “Signore della cime”.
«Dopo quella volta non l’abbiamo più cantata» racconta Bepi De Marzi. «Io sono fatto così, quando ho completato una cosa non ci penso più. Sono stati gli Amici dell’Obante di Valdagno diretti da Gianni De Toni a registrarla per primi, noi l’abbiamo ripresa solo nel ’69. Nel frattempo ha percorso la sua strada da sola».
Il nipote del fornaio
E di strada quel canto ne ha fatta tanta, anche se domenica prossima tornerà idealmente a casa: alle 11 infatti, dopo un’altra messa, sulla facciata del rifugio – a 1225 metri di altitudine sotto le Tre Croci – verrà apposta una piccola lapide con la scritta “Signore delle cime”, per ricordare quel momento di commozione e di gioia creativa. A dirigerla per la millesima volta sarà ancora Bepi De Marzi, il nipote del fornaio che in quel secondo dopoguerra era stato instradato sulla via della musica da una mamma melomane e da un professore dell’Istituto tecnico di Valdagno che disse sconsolato al padre che altro quel ragazzo non era capace di fare. «E pensare che io avrei voluto fare il giornalista, non certo il compositore» confessa De Marzi, che quell’anno, dopo il militare e il diploma al conservatorio si apprestava a partire per la Germania «a studiare organo e a suonare nei locali notturni per mantenermi».
Terre sfregiate
Ma a farlo diventare nel giro di qualche anno il musicista più popolare e il più innovativo nel campo della musica corale non fu certo solo quel brano, ma una lunga serie di titoli che hanno fatto storia e continuano ad emozionare e riscaldare i cuori di chi li ascolta, da “Joska la rossa”, a “Monte Pasubio” a “La storia del soldato”, oppure ai canti ispirati alla sofferenza delle terre alte sfregiate dall’uomo e abbandonate dai loro abitanti (“L’aqua xe morta”, “Restena”, “Benia Calastoria”, “Cortesani”). Senza contare la lunga esperienza nei Solisti Veneti, dove ha suonato per lunghi anni il clavicembalo sotto la guida dell’amico Claudio Scimone, oppure la composizione di splendidi Oratori e grandi Messe, e soprattutto l’appassionato lavoro con padre Turoldo, che negli anni ’70 lo chiamò a musicare i suoi salmi: «Quella era la mia vera passione» racconta ora il musicista «ma si è rivelata anche la mia più grande sconfitta, perché la Chiesa musicalmente continua a proporre cose turpi e quelle composizioni le lascia nel cassetto».
15 lingue, cento paesi
Anche se Bepi continua imperterrito a proporle nei suoi concerti, come ha fatto sabato scorso ai Santuari Antoniani di Camposampiero in solidarietà con Don Ciotti. Ma è la fortuna del “Signore delle cime” – tradotta in una quindicina di lingue ed eseguita in oltre cento paesi – ad accompagnarlo nel mondo. Gli è accaduto di sentirla cantare in Giappone, oppure eseguita all’organo nella basilica di San Tommaso a Lipsia, che ospita le ceneri di Johann Sebastian Bach, che qui fu maestro di cappella: e a smentire che sia solo un brano da funerali, in quell’occasione accompagnava un matrimonio. «Ma la cosa più sorprendente avvenne in Australia, a Perth, dove eravamo in tournée con i Solisti Veneti. Sapevamo che l’orchestra locale ci avrebbe suonato un brano di benvenuto, e pensavamo all’inno di Mameli. Invece eseguirono “Signore delle cime”».
Al quirinale
De Marzi l’ha diretta anche nel corso di un concerto al Quirinale, lo scorso anno, davanti al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che gli ha conferito l’onorificenza di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica.
Ma quali sono le caratteristiche di quel brano – e della sua musica in genere – che ne hanno decretato un successo così vasto, che supera le barriere dello spazio, del tempo, e si impone persino nei social, con oltre sei milioni di visualizzazioni su You Tube nelle più diverse versioni? «Ho voluto staccarmi dal farfugliante mondo musicale alpinoide e cercato di fare poesia. Mi fa piacere quando mi dicono che nelle mie composizioni, anche di taglio più popolare, si avverte l’impronta della musica classica, soprattutto l’ispirazione del canto gregoriano, che ho sempre amato e studiato all’abbazia di Praglia. Però poi la musica viene come viene, e quando vuole: mi capita ancora oggi di fermarmi alle volte con la macchina di fianco alla strada per fissare qualche nota su un foglietto». E come si spiega il fatto di essere osannato da gente che magari canta le sue canzoni ma poi – che si tratti di ambiente o di immigrazione – fa il contrario di quello che dice lui? E soprattutto perché ha tanto a cuore la questione degli immigrati, tanto da aver dedicato a loro, con “I bambini del mare”, uno dei canti più recenti e più struggenti, che propone molto spesso ai concerti? «I miei compaesani sanno bene come la penso e dicono “come uomo è insopportabile ma come musicista lo accettiamo”. Per quanto riguarda i migranti, in particolare, io ho vissuto nel passato il dolore della lontananza dei nostri migranti, ho visto la nostalgia negli occhi di chi era costretto ad andare a cercar fortuna in Germania, in Canada, in Sud America. Lo stesso spaesamento lo trovo negli occhi di chi oggi arriva dall’Africa, e mi pare naturale accoglierli e dar loro una mano. Anche qui comunque, sul versante politico e sociale, la mia sconfitta è cocente». —
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