Negri, Scalzone e Piperno raccontano il “Settantasette”

PADOVA. «Settantasette»: la storia imparata sulla carne di chi ci ha rimesso non a parole, da qualunque parte stesse, subendo o per conseguenza delle proprie azioni. Senza sconti.
Stagione ruvida da raccontare in questa città all’epoca catalizzatrice del clima del Paese, avanguardia politica e sociale: quarant’anni e il distacco semplicemente non c’è.
Superati i processi, decenni di dibattiti e bagarre, storici e saggisti a volte arrampicati su una sola sponda, neppure i romanzieri si sono avventurati volentieri con almeno una dovuta eccezione degli Invisibili di Nanni Balestrini che di mestiere però fa il poeta.
Poi pensi che il tempo ha fatto il suo mestiere quando, maggio scorso, uno sceneggiatore da premio Oscar come Umberto Contarello fa una rivelazione dai suoi 22 anni di allora e il processo 7 aprile su Facebook e quasi quasi passa in silenzio in questa città: «Un giorno, essendo io nel processo chiamato a testimoniare contro Autonomia Operaia, vengo convocato nell’ufficio dell’allora segretario del partito, dove trovo appunto il pm. E, senza alcun preambolo né imbarazzo, mettiamo a punto un brogliaccio, che avrei dovuto imparare a memoria e che mi doveva servire per sostenere l’interrogatorio». E invece no. Perché i diretti interessati hanno risposto eccome. Arroventandosi. La polemica resta, l’interesse è come rimasto sospeso. Forse perché è la storia di una generazione da raccontare ad altre due nate e sbocciate da allora. Sicuramente i millenials ne sanno meno.
“Settantasette” per esteso è il titolo del dibattito sul 1977 in calendario allo Sherwood Festival per giovedì 13 ore 20.30 “presso il Second Stage” con i protagonisti nazionali di quella stagione: Toni Negri, Oreste Scalzone, Franco Piperno, Vincenzo Miliucci (leader di via dei Volsci, l’Autonomia a Roma, noto per la cacciata di Lama dall’università) con Cristina Morini giornalista e saggista sul mondo del lavoro e le differenze di genere. Modera Marco Baravalle (Sale Docks). Di fronte avranno un pubblico di militanti, diciamo così di “seconda generazione” e anche fra gli organizzatori della Festa - per vari motivi - non ne sono poi rimasti molti fra chi la inventò vent’anni fa sulle sponde del Piovego al Fistomba invitando gruppi come i 99 Posse. Non aspettatevi equilibrio, perché il sapore degli anni 70 è proprio l’estremo. Anche se sul palco ci sarà chi oggi ha superato i propri Settanta. E in platea molti quelli che vorranno ricordare i propri venti.
Era l’aria compressa del tempo. A Padova di più, e non era solo una questione solo di militanza: «Eravamo come pesci nell’acqua», ricorda un reduce di Autop, «quando si fuggiva da un agguato, dalla polizia, da un corteo c’era sempre un campanello da suonare, una porta che s’apriva». Era un anno dove nei licei poteva arrivare la Polizia in assetto da corteo per perquisire le aule e non certo a caccia di droghe ricreative. Era una Padova dalle divisioni geografiche: luoghi e quartieri da non frequentare, quasi una frontiera piazza della Frutta fra chi sostava sotto il Cavour e chi davanti al Liviano o all’ombra dell’Orologio. Non si stava nel mezzo.
Era una città prima anche nello sperimentare l’emittenza anche televisiva e dove nascevano giornali: l’anno dopo, con la nacita del Mattino, si arrivò al record di cinque quotidiani in edicola.
Era una Padova dove un angolo di strade del centro, appena 50 metri, è stato attraversato dalla storia nazionale: il primo omicidio delle Br, la prova d’innesco per la bomba di piazza Fontana, un’agenzia libraria utilizzata per il collocamento di chi andrà poi a rapire un generale degli Stati Uniti.
Un decennio iniziato con le stragi del ’69 e chiuso dal rapimento Moro nel ’78, una discontinuità sociale aperta nel 1968 e che nel 1977 era diventata di massa. Nei cortei di tante città, nelle prime affermazioni delle femministe, passando per lo Statuto dei Lavoratori e l’articolo 18, nel percorso impostato da Basaglia, negli indiani metropolitani, nelle radio libere. Poi tante porte si sono richiuse. Ma quell’anno cerca ancora qualcuno che lo sappia raccontare senza reticenze, senza sconti alla storia.
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