Nell’amore materno c’è la fonte che ispira la moderna pittura

. Da qualsiasi lato la si prenda, la mostra “L’Amore materno alle origini della pittura moderna da Previati a Boccioni”, in corso a Verona alla Galleria d’Arte Moderna a Palazzo della Ragione fino al 10 marzo, appare un buon esempio di come una mostra possa esplorare più aspetti di un fenomeno artistico senza dover allineare un gran numero di quadri. L’esposizione ruota intorno alla “Maternità” di Gaetano Previati, un quadro enorme di oltre quattro metri di lunghezza e 1,75 di altezza, così ricco di materia e di luce, di terra e di paradiso, di musica e di ricerca – per togliere il superfluo e lasciare solo il purissimo e universale sentimento – da fare apparire persino accessorio tutto il resto. Ma è proprio nel “resto” che si rivelano i migliori propositi: irradiare la magnificenza del telero previatesco alla maternità come soggetto, al Divisionismo in terra veronese e alle raccolte della Galleria.
Stati d’animo
Prima di entrare nella sala della grande “Maternità” ci si imbatte volutamente in due dipinti che fanno da bussola al Divisionismo a Verona. “S’avanza” di Angelo Morbelli e “Gli Amori delle anime” di Angelo Dall’Oca Bianca. Entrambi appartengono all’ultimo filo di Ottocento: il primo salda nel formicolio divisionista pasta pittorica e fotografia levando uno struggente canto d’addio al romanticismo ottocentesco; il secondo cerca di applicare la novità dei colori divisi ma incalzando sul pathos dell’amor materno ambientato in un campo di cippi tombali e papaveri rossi. Quella era la temperatura d’allora: la Scapigliatura lombarda aveva già caricato sui sentimenti svaporando la condotta pittorica e unificando figure e atmosfera in nome degli stati d’animo. “Gli amanti” di Previati e “Aetas aurea” di Medardo Rosso, con i volti ravvicinati del bimbo alla madre, risentono fortemente di quelle poetiche di accensione espressiva dove la fusione dei piani corrisponde a quella dei sentimenti.
Entro questa cornice si inscrive Previati che considerava la maternità tema cardinale per applicare una ricerca di fusionalità estendibile a tutto il creato. In mostra vi è una prima versione del 1886, un olio che scompagina ogni canone iconografico delle Madonne con bambino, procede con pennellate libere, colori acidi, verdi e azzurri, gigli che sembrano fiori di cotone, ali brunite d’angelo in controluce e un bimbo grandicello, più simile a quello della Madonna dal collo lungo del Parmigianino che al neonato del presepe. Iridescenze verdi e gialle ridotte a pastoso, benché lineare, filamento collocano questa prova su un piano di sperimentazione luministica. Gli angeli si prodigano in adorazioni estreme, si piegano vistosamente: le ali impalcano la scena dove tutto sembra smottare.
Vicini, quasi indiscreti
Gli angeli nelle maternità di Previati ricoprono un ruolo fondamentale: nella grande tela del 1890 le loro ali si mescolano col verde del prato rendendo tangibile l’espansione ritmica che si irradia per vibrazioni cromatiche dal nucleo della madre che allatta, situata nel punto di massima luminosità. Il leggero spostamento a sinistra del sacro bozzolo, sottolineato dal timido melograno retrostante, sconfessa anche l’ultimo sentore di prospettiva contribuendo, con questo piccolo scarto spaziale, alla vibratile mobilità dell’insieme. Il dipinto richiede una visione ravvicinata che sembra quasi indiscreta: ma è il punto di vista confidenziale a svelare quanto siano grumose le pennellate, quanta materia sia necessaria per scandire i lunghi filamenti. La visione in lontananza sarebbe quella desiderata che riassume l’insieme e ci consegna un capolavoro in itinere verso le più meditate teorie divisioniste, approdo finale dell’esperienza previatesca che tesse le sue trame sulla fine dell’illusionismo pittorico, facendo intravedere esiti futuri verso l’informale e l’astratto.
Previati presentò questo dipinto, fuori scala e fuori canone rispetto ai realismi imperanti, alla Triennale di Brera del 1891 che vide l’affermazione del Divisionismo. Le critiche furono aspre, durissime. A suo favore si levarono le voci di Vittore Grubicy e Alfredo Melani (“Per Previati ogni colore è sentimento e idealità, è mezzo per entrare nell’impenetrabile”) che sostenevano essere giunto il tempo del ripudio del realismo in nome della più alta verità dell’idea. Il divisionismo in area veronese non passò inosservato: una mostra del 1900, che riunì ben 496 opere, diede spazio anche ai divisionisti con quadri di Morbelli, Plinio Nomellini, Emilio e Baldassarre Longoni. Tra le opere di Morbelli vi era “Alba felice”, una bellissima e spossata giovane madre sprofondata nel sonno con il neonato a fianco.
Due polarità
Non poteva mancare Segantini con “L’amore alla fonte della vita” e un prezioso disegno, matita e pastello d’oro, preparatorio a “L’Angelo della Vita”. Le due polarità, meno intonate ma compatibili, sono da un lato “Sacra famiglia” di Pelizza da Volpedo del 1892, l’anno in cui sposò una giovane contadina, opera più verista che divisionista con l’accento posto sulla nobiltà della giovane popolana che incede fiera col bambino in braccio ma con il volto velato di tristezza; e “Nudo di spalle” di Boccioni, ovvero la madre rappresentata di tre quarti vista di spalle. Un dipinto che mostra come l’energico divisionismo di Boccioni, reso ancor più ardito dal controluce, fosse più debitore agli originari insegnamenti di Balla che alla, seppur venerata, lezione di Previati.
L’amore materno in questo caso esce dal canone della mostra ma vi rientra nella sostanza poiché l’attaccamento reciproco tra i due segnerà la biografia di entrambi: quando seppe della morte del figlio, Cecilia Forlani Boccioni ebbe una paralisi che le tolse la parola per il resto della vita. —
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