Ötzi, nuova teoria da Padova «Nessuna frana, fu sepolto»

Continuano gli studi sull’uomo del Similaun. Ferito, sarebbe stato soccorso e dopo la morte inumato in un luogo ben preciso, per segnare il confine
Di Silvia Quaranta

di Silvia Quaranta

Quella di Ötzi, “uomo del Similaun”, è una storia (forse) tutta da riscrivere: la tesi attualmente più conosciuta, accettata dalla maggior parte degli studiosi e dei mass media, tende a privilegiare l’ipotesi di un antico delitto. Si tratta della così detta “teoria del disastro”: il guerriero sarebbe caduto ad alta quota in un agguato, morendo sul posto e venendo immediatamente ricoperto da coltri ghiacciate, con tutto il suo equipaggiamento di montagna. La scena del ritrovamento, quindi, sarebbe quella di crimine efferato, sul quale ha investigato anche un profiler della polizia di Monaco, invitato dal gruppo di ricerca sulla mummia a identificare modalità, moventi e colpevoli dell’uccisione preistorica. Ma nel tempo è stata elaborata una seconda teoria, completamente diversa, a oggi sostenuta da numerosi studiosi, tra cui i docenti dell’ateneo padovano: è la “teoria della tomba”, secondo la quale, al contrario, il guerriero sarebbe morto ad alta quota, poi portato altrove dalla sua tribù e infine nuovamente deposto dove poi è stato ritrovato, con una sepoltura formale, per segnalare e sacralizzare il confine politico.

Gli archeologi del Bo (come i colleghi della Sapienza di Roma, dell’Università del Kansas e del Museo Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini” di Roma), considerano la tomba crollata come un antecedente dei siti dell’età del Rame posti sull’arco alpino, nei quali imponenti stele scolpite in pietra con immagini di guerrieri armati rendevano sacri i confini e i passi di montagna. Ieri, a Palazzo Liviano di Padova, una squadra di studiosi ha cercato di far luce sul giallo antico, analizzando i punti di forza e di debolezza delle diverse ipotesi. Nel corso del convegno si sono alternati Alessandro Vanzetti, Luca Bondioli, Michele Cupitò e Massimo Vidale del Dipartimento dei Beni Culturali, Gilberto Artioli e Ivana Angelini del Dipartimento di Geoscienze, e Francesco Rubat Borel della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Torino: tenteranno di dare delle risposte scientifiche. Molti, secondo i relatori intervenuti, sarebbero gli indizi che fanno propendere per la tomba franata: un’informazione curiosa è data dall’analisi dei pollini rinvenuti sul corpo, che suggeriscono sia morto in primavera. Ma questo esclude la tesi del congelamento subitaneo. Dibattuta anche l’origine dell’ascia, inizialmente creduta originaria dell’arco alpino: l’analisi chimico fisica, però, rende più probabile la fattura toscana. Sul corpo di Ötzi manca la materia che si forma senza eccezione nei corpi abbandonati in ghiaccio e acqua, mancano impronte o morsi di animali predatori, e anche il corredo non depredato, che escluderebbe l’uccisione da parte di un nemico. Al contrario, suggeriscono gli studiosi padovani: il ricco corredo da caccia che accompagna il corpo mal si concilia con l’idea di una corsa disperata nel tentativo di fuggire alla morte.

«E se» si chiedono Michele Cupitò e Massimo Vidale «l’uomo fosse stato soccorso, dopo essere stato ferito alla schiena, dai suoi compagni che hanno tentato di rianimarlo? Poiché al tempo il passo ad alta quota era ancora gelato, il corpo sarebbe stato messo in un ambiente secco e gelato per alcune settimane, poi, in primavera inoltrata, rivestito e poi portato al luogo di sepoltura con i suoi oggetti».

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