Palladio, la storia di un genio e di un filo di seta

Si potrebbe dire che tutto cominciò per caso 4000 anni fa, quando Xi Ling Shi, la moglie dell’imperatore Giallo, sfiorò con il polpastrello un bruco che si muoveva su un gelso: ne uscì un sottilissimo filo di seta che la donna avvolse paziente roteando il dito, creando un piccolo bozzolo e comprendendo per la prima volta il legame fra il baco e la seta. Senza la seta non ci sarebbero le ville.
Certo, ci sarebbero le fattorie, come ci sono le masserie in Puglia o le cascine in Lombardia, ma non le ville: vale a dire un fenomeno unico dove ragioni economiche e aspirazioni ideali diedero vita, grazie al talento di un giovane architetto, ad un nuovo tipo di edificio, mai visto prima.
Come nelle piantagioni
Una “macchina” per abitare che conquistò le campagne del Veneto, presto si spostò in Olanda e Inghilterra per poi attraversare l’oceano e diventare l’icona del nuovo mondo, tanto da diventare la casa del Presidente degli Usa. E pensate che nell’Ottocento, quando gli schiavi liberati furono rimandati in Africa, anziché le loro ancestrali capanne circolari preferirono costruire in miniatura, con materiali poverissimi, le ville neo palladiane delle piantagioni da cui provenivano. Non c’è dubbio che la villa sia il prodotto veneto di maggior successo nei secoli. Ma come è nata, e che cos’è ?
Dobbiamo partire dalla Vicenza degli anni Quaranta del Cinquecento. La città aveva una classe dirigente che contava il maggior numero di laureati fra le città del Veneto, che era spinta da spirito imprenditoriale ed era favorita dall’abbondanza d’acqua che, nell’alto Vicentino, rendeva disponibile la forza motrice per muovere i mulini, con cui si poteva battere, torcere, macinare.
I nobili Chiericati, i Thiene, i Piovene o i Valmarana anziché vivere di rendita producevano i migliori filati di seta d’Europa, e li vendevano da Londra a Lisbona, da Lione ad Amsterdam, a Norimberga. Uomini e donne d’affari, gestivano affari e società commerciali in prima persona, e avevano le proprie fabbriche, che allora prendevano la forma degli alti mulini da seta che sono ben visibili nelle mappe dell’epoca vicino ai ponti, vere e proprie “zone industriali” del tempo.
Dal dominus al “paròn”
La seta era prodotta nelle campagne e lavorata in città. Per seguirne la produzione, insieme a quella altrettanto importante del grano, del riso, della vite, bisognava passare fra i campi una parte dell’anno, ma non nelle fattorie. Ed ecco che il giovane Palladio propone loro delle architetture che escono direttamente dalla grande tradizione di Roma antica. Nelle pagine di Cicerone, di Plinio il giovane, di Varrone i vicentini leggono dell’importanza della vita a contatto con la natura, e vogliono sentirsi eredi di quella tradizione.
Come le fattorie, le ville sono fatte di più edifici: le tettoie dove ricoverare gli annessi agricoli, le barchesse con le stalle e la stanze per i bachi, le colombare, e poi la casa dominicale, del “dominus”, il veneto “paròn”. Palladio collega le diverse parti con una logistica efficacissima, ma soprattutto definisce una gerarchia che fa perno sulla casa dominicale, a cui applica le colonne e il frontone, elementi che arrivano direttamente dai templi antichi, e fanno sentire i proprietari dei “nuovi romani”.

Le prime ville sorgono tutto intorno a Vicenza. Prima quella dei Godi a Lonedo dei figli di Enrico Godi, l’avvocato divenuto il principe del foro di Venezia, che torna a Vicenza e sfida i “poteri forti” che all’epoca erano soprattutto i Thiene e i Porto. Poi seguono i Valmarana a Vigardolo, Bonifacio Poiana a Poiana Maggiore, Biagio Saraceno a Finale di Agugliaro, i Repeta a Campiglia, i Caldogno.
Dato che l’attenzione ai “schei” viveva già nei vicentini dell’epoca, è vero che le ville erano innanzitutto efficenti strumenti per la consuzione delle aziende agricole. Ma non erano solo quello: erano anche architetture di avanguardia, oggi diremmo “di rottura” rispetto alla tradizione.
Più forma che materia
Per la mentalità prevalente nel Veneto del Cinquecento, un edificio prestigioso doveva essere rivestito di marmi colorati preziosi, basta pensare ai palazzi gotici del Canal Grande. La villa palladiana cerca un’altra strada. “L’architettura si giudica più per forma, che per materia” scrive Palladio, che costruisce secondo proporzioni armoniche raffinate ma con materiali poveri: mattoni e intonaco (ancora i “schei”). E inoltre rifiuta il colore: a differenza delle ville pre-palladiane, i cui muri esterni erano spesso “tatuati” di affreschi come oggi il corpo di Fedez, gli edifici di Palladio sono calibratissimi e sofisticati edifici candidi. Possiamo pensare che l’effetto era simile a quello fatto dalla modernista Ville Savoy di Le Corbusier sulla maggioranza dei parigini, abituati alle decorazioni dell’architettura dell’Ottocento.
Palladio scrive di essere stato molto fortunato a trovare a Vicenza dei committenti che gli hanno permesso di costruire secondo “l’usanza nova, che tutti sanno quanto sia difficile introdurre”. La Palladio-story non è il racconto di un genio isolato capitato per caso a Vicenza, considerando che Palladio era nato a Padova.
Palladio sceglie Vicenza perché in città trova una classe dirigente colta e di casa in Europa, che ha capito che la città deve scommettere sulla trasformazione urbana, sulla qualità delle architetture, in definitiva sulla cultura, se non vuole un destino residuale da piccola città di provincia. Per questo quando abbiamo aperto il Palladio Museum a Vicenza, nel cortile abbiamo piantato un albero di gelso da seta.
IL PERCORSO
Quasi fosse una sua architettura, con forme nette e ben definite, la carriera palladiana si divide in decadi.
Negli anni Quaranta Palladio si afferma nella sua città. Per questo le prime ville sono tutte nel Vicentino, a partire da villa Godi a Lonedo in cui l’architetto è ancora all’interno della bottega dei tagliapietra da cui aveva imparato il mestiere.
Hanno il fascino della primizia, che permette anche di accettare che il gusto non sia ancora del tutto pieno. Infatti spesso sono esperimenti, talvolta costruite solo in parte, almeno rispetto ai sogni dell’architetto.
Villa Saraceno a Finale di Agugliaro, ad esempio, non ha le doppie barchesse che probabilmente doveva avere, e lo stesso si può dire per villa Pisani a Bagnolo. La laconica villa Valmarana a Vigardolo ha il sapore acerbo degli inizi.
Villa Chiericati a Vancimuglio è stata costruita trent’anni dopo il progetto steso da Palladio, ma per la prima volta un pronao di tempio viene applicato al corpo di una villa. Villa Poiana poi è il visionario tentativo di usare un linguaggio così astratto – solo liscie superfici, senza cornici e capitelli – che più di un architetto in visita ha pensato fosse stata costruita negli anni Trenta del Novecento.
Nel maggio del 1949 l’avvio del cantiere della Basilica Palladiana lancia Palladio come archistar, conteso dalle ricche e potenti famiglie veneziane, con le aziende agricole più vicino a Venezia.
Le grandi ville degli anni Cinquanta sono infatti nel Trevigiano. Villa Barbaro a Maser è un edificio trionfale, modellata sulle grandi residenze cardinalizie romane, in cui l’architettura di Palladio si intreccia con un altro capolavoro senza tempo: gli affreschi di Paolo Veronese. Il pittore sembra sfidare l’architetto generando, sulle pareti della villa, una realtà virtuale fatta di porte aperte con proprietari che si affacciano, di cani che escono dalle stanze, di logge aperte su paesaggi con rovine antiche.
Villa Emo a Fanzolo è la villa palladiana ideale: possente e minimale insieme, sorge in un’area in cui è ancora visibile la griglia ortogonale della centuriazione romana dei campi, a cui Palladio si adegua allineando colombare, barchesse e casa dominicale.
Anche in villa Emo la decorazione è straordinaria, questa volta opera di Zelotti, con affreschi dove quadri con soggetti sacri dipinti in trompe-l’oeil sono sovrapposti alle storie pagane dei miti e degli eroi. A Piombino Dese la potente famiglia Corner celebra i fasti della famiglia di Caterina, la regina di Cipro, con una villa-palazzo a due piani che sembra provenire dalle piantagioni della Virginia, e infatti dagli anni Cinquanta è proprietà di americani innamorati del Veneto. Anche queste ville dei veneziani sono ville-fattorie, dove la parte residenziale convive con quella produttiva.
Solo due fanno eccezione, e infatti sorgono ai margini di due città: a Venezia la villa Foscari detta la Malcontenta e a Vicenza la Rotonda. Palladio lo sa e dà loro l’aspetto di magnificenti ville-tempio.
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IL MUSEO
Il Palladio Museum a Vicenza è il baricentro di ogni itinerario alla scoperta di Palladio. È a Palazzo Barbarano, unica dimora cittadina che Palladio riuscì a costruire completamente, per altro mandando in bancarotta il committente. Ha uno sfarzoso apparato decorativo che culmina col salone con i busti dei dodici Cesari. Racconta come Palladio concepiva i suoi capolavori, ma anche che faccia aveva o come era composta la sua famiglia. Video, disegni, libri e disegni originali e i famosi modelli in legno degli edifici palladiani. I bambini sono benvenuti. palladiomuseum.org.
LA WHITE HOUSE
Fu Thomas Jefferson a volere che la casa del presidente degli Stati Uniti non assomigliasse a Buckingam Palace o al Louvre, dimore di re. Era necessaria una architettura “repubblicana” e così la scelta cadde sulle ville della Repubblica Serenissima di Venezia. Fu lo stesso Jefferson ad aggiungervi il portico con colonne, destinato a diventare il simbolo dei luoghi del potere civile americano.
VILLA BADOER
È una delle più belle ville di Palladio, costruita sulle rovine di una precedente roccaforte medievale, con un grande timpano e la cornice che, scrive Palladio, “la circondano come una corona”. Era al centro della tenuta dei Badoer, famiglia patrizia veneziana con forti interessi nell’agricoltura. È l’unica con le barchesse dal profilo curvo: “le ho disegnate così perché accogliessero gli ospiti come un abbraccio” scrive Palladio. Il proprietario Francesco Badoer era appassionato di teatro e forse per questo sulle pareti appaiono personaggi in costume, dipinti da Giallo Fiorentino.
La villa interrotta. A Molina di Malo, 10 enormi colonne sono ciò che resta di uno degli ultimi progetti di Palladio per il suo amico Iseppo Porto.
Il segno di Armano. Una scultura di Elio Armano in via Tiso da Camposampiero ricorda dove nacque e visse fino a 16 anni il giovane architetto divenuto celebre.
La rotonda. Icona delle ville, conta ottanta imitazioni in tutta Europa e negli USA, e l’ultima è stata costruita a Nablus in Palestina
Much more. È possibile scaricare la pratica guida che integra le ville a musei, strade del vino, castelli e produzioni tipiche: www.vicenzae.org
* Guido Beltramini, autore di queste pagine, dirige il CISA A. Palladio di Vicenza e dal 2015 è visiting professor di storia del Rinascimento a Harvard.
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