Pop o indie, zero etichette nell’universo di Cosmo

MILANO. Etichette. Indie? Cosa vuol dire? Indipendente. L’etichetta discografica? Sì. E anche no: perché ormai “indie” è un genere. Cosmo è “indie”? Cosmo fa musica da club. Cosmo fa musica d’autore. Cosmo è un deejay. Cosmo è un cantante. Dice di ispirarsi a Battiato, che è il padre italiano dell’elettronica. Ma anche a Battisti: è l’ultimo Battisti. Ma si scorge anche il primo Vasco: “Tristan Zarra” è “(per quello che ho da fare) Faccio il militare” in versione Edm. Lì c’erano le voci di Massimo Riva e Maurizio Solieri. Nel pezzo di Cosmo, quelle della moglie, dei figli, dei cognati, della baby sitter, di Calcutta, di Francesca Michielin, della doppiatrice Beatrice Caggiula. Avrebbe potuto esserci Maria De Filippi. Ha rifiutato.
Il disco di Cosmo è un universo: “Cosmotronic”. Universo doppio. Da una parte, quello delle parole. C’è la dichiarazione d’amore pudica di “Sei la mia città”; c’è “Ho vinto”, che sembra un film di Malick; c’è “L’amore” (inteso come titolo e inteso come tema), che è Jovanotti che rinasce Calcutta; c’è il nonsense di “Tristan Zarra”. E poi c’è il viaggio musicale del secondo disco, interamente strumentale. Ci sono (anche) le parole ripetute ossessivamente, che vanno a perdere il loro significato, diventando così puro suono: “Ho trovato qualcosa / Ho trovato un passaggio”. Verso dove? Non c’è un “dove” . È “Attraverso lo specchio”: in un continuo rimbalzo tra figura e immagine. Passaggi e ritrovamenti. I rimandi sono all’oriente ( “Turbo”, che nasce dal campionamento di una musica siriana), ai ritmi tribali dell’Africa e alla musica leggera italiana.
A Cosmo piace sparigliare le carte: ha sdoganato la musica da ballo. Come mai nessuno aveva avuto il coraggio di fare in Italia? No, ma nessuno finora era mai stato preso così sul serio (a parte Battiato; e Battisti, ma solo da certa critica). Perché Cosmo prende quei suoni, quei campionamenti e li rende cosa seria, li rende canzone. E questa è la sola cosa seria per la musica italiana. E infatti scrive la canzone d’amore, scrive la canzone politica, scrive la canzone autobiografica. E la cosa spiazzante è che piace. Piace anche ai “puristi” che mai si sarebbero immaginati di amare un synth, finiti gli anni ’80. E invece si ricredono. Pensavano a Cosmo in quel grande calderone indie, di cui nessuno capisce più niente: Motta, Calcutta, Thegiornalisti, Levante. E Cosmo. No, Cosmo è un’altra cosa. Cosmo ha preso la canzone d’autore e l’ha fatta suonare a un computer. Ma l’ha resa poetica. E “Cosmotronic” è il viaggio lungo tutta la sua poesia: da Torino a Bangkok, si potrebbe dire. È il suo viaggio interstellare: lo suggerisce in “Bentornato”. Cosmo se n’è andato in un pianeta lontano, ne ha rubato i suoni, ma ha conservato le parole di casa sua. Eccolo. “Ma sono sempre ritornato”.
Laura Berlinghieri
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