Renzetti: «Un concerto dedicato a Venezia»

Il direttore d’orchestra domani apre la stagione sinfonica della Fenice. «Per mantenermi suonavo nei complessini»
VENEZIA. Donato Renzetti sarà sul podio dell’orchestra della Fenice domani, alle 20, per l’inaugurazione della stagione sinfonica 2017-18 del Teatro (repliche sabato alle 20 e domenica alle 17). Giramondo instancabile, la sua attività è, come sempre, intensissima. In questi giorni è impegnato anche a Torino, dove è stato chiamato per sostituire in “Falstaff” Daniel Harding, che ha rinunciato. Fu la vittoria nel prestigioso concorso Cantelli a lanciarlo, nel 1980. Una carriera così lunga e ricca si traduce, durante l’intervista, in un flusso ininterrotto di ricordi. Riemergono collaborazioni straordinarie con cantanti e registi, ma anche con personaggi come Carmelo Bene, voce recitante nel Manfred di Schumann, alla Scala. La simpatia dell’uomo rende alcuni aneddoti irresistibili.


Lei ha iniziato come percussionista in orchestra.


«Sì, anche mio padre era timpanista alla Scala e tuttavia non voleva che facessi il musicista. Io, invece, fin da bambino, volevo fare il direttore. Essere strumentista mi ha consentito di vedere grandi bacchette all’opera. In conservatorio però ho studiato composizione con Bruno Bettinelli e direzione con Mario Gusella, due straordinari maestri. Poi studiai a Siena con un genio della direzione come Franco Ferrara, che mi voleva bene e mi suggerì di affrontare “Fontane di Roma” di Respighi, così partecipai a un concorso indetto dalla vedova del compositore e vinsi».


Il programma di domani sera si aprirà con una novità di Fabio Vacchi, commissionata dalla Fenice. Lei ha sempre fatto musica contemporanea.


«Certo, ho registrato in video il “Satyricon” di Maderna, ho diretto partiture complesse come “Gruppen” di Stockhausen e “Le marteau sans maître” di Boulez, musiche di Gervasoni, Francesconi e molti altri. Il programma che dirigerò ha un filo rosso: Venezia. I “Canti di fabbrica” di Vacchi sono un omaggio ai cento anni di Marghera e ai suoi lavoratori, la versione con coro di “Io che non vivo senza te” è un omaggio a un grande successo internazionale del veneziano Pino Donaggio, l’aria che estrapoliamo dall’“Attila” di Verdi ci ricorda Aquileia, da dove mossero i fondatori di Venezia, “Il nuovo mondo” di Dvorák rimanda alla Serenissima, sempre aperta alla scoperta di nuovi territori».


A proposito di Pino Donaggio, qual è il suo rapporto con il mondo della canzone?


«Fu assai stretto quando, per mantenermi agli studi al Conservatorio di Milano, suonavo la batteria in vari complessini. Cantai anche nei 4+4 di Nora Orlandi, un gruppo di vocalisti formidabili. Ho fatto il Festival di Sanremo del 1971. Mio fratello ha scritto successi come “I migliori anni della nostra vita” di Renato Zero, “Almeno tu nell’Universo” di Mia Martini ed “Acquerello” di Toquinho».


L’ultima volta a Venezia fu con “La Favorita” di Donizetti nel maggio 2016.


«In Italia mi si considera soprattutto un direttore d’opera, perché nel corso degli anni ho messo insieme ben 94 titoli, ma in realtà la mia attività è stata soprattutto sinfonica e comprende tutti i grandi dell’Ottocento, da Beethoven a Brahms, per arrivare a Mahler e al Novecento di Schönberg, Stravinskij, Prokofiev, Šostakovič».


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