Rigoberta, una vita in difesa dei diritti e della dignità

Il Nobel per la Pace Menchú invitata a Ca’ Foscari parla di donne, ambiente e cultura maya
Di Enrico Tantucci

di Enrico Tantucci

Sembra uscito da un bassorilievo maya, il volto scolpito, con i grandi occhi scuri, espressivi e attenti, di Rigoberta Menchú, Premio Nobel per la Pace nel 1992 “in riconoscimento dei suoi sforzi per la giustizia sociale e la riconciliazione etno-culturale basata sul rispetto dei diritti delle popolazioni indigene”.

La serena fierezza del volto della leader pacifista - ma più che combattiva - guatemalteca è in piena sintonia con il messaggio che trasmette, anche in occasione della visita di ieri a Venezia, invitata dall’Università di Ca’ Foscari (e in particolare dalla professoressa Susanna Regazzoni, docente di letteratura ispanoamericana e coordinatrice dell’Archivio Scritture e Scrittrici Migranti) a una lettura pubblica su cultura maya e ambiente.

Rigoberta - nome che evoca quello di antichi sovrani carolingi - è nata in una numerosa famiglia contadina, la madre e altri membri della famiglia furono torturati e uccisi dai militari o dagli “squadroni della morte”. Il padre morì con un gruppo di contadini rifugiatisi nell’ambasciata di Spagna in segno di protesta, quando la polizia incendiò l’edificio, bruciando vivi coloro che vi erano rinchiusi, Era il 1980.

Mentre i fratelli scelsero la via della guerriglia, Rigoberta Menchú iniziò una lotta pacifica di denuncia del regime guatemalteco e della sistematica violazione dei diritti umani ai quali la gente indigena è sottoposta. Su un paese che oggi conta 12.700 mila abitanti, si denunciano circa 45 mila desaparecidos, frutto delle dittature e della guerra civile che hanno colpito il Guatemala in anni recenti.

Per sfuggire alla repressione si esiliò in Messico, e pubblicò la sua autobiografia “Mi chiamo Rigoberta Menchú”, curata dall’antropologa venezuelana Elizabeth Burgos. Con questo libro straordinario ha raccontato al mondo intero la drammatica condizione delle popolazioni amerindiane del Guatemala.

Signora Menchú, che cosa rimane oggi di ancora vivo in Sudamerica della cultura maya?

«La nostra lingua, nelle sue varianti, che è quella che conferisce la dignità a un popolo e definisce anche la sua identità. E il nostro calendario, che continuiamo a usare e che scandisce la nostra vita. Manteniamo una memoria collettiva del nostro passato, che è la base per affrontare anche i problemi di oggi».

Lei è stata parte attiva nel processo che ha visto in Guatemala due ex militari condannati a un totale di 360 anni di carcere per violazione dei diritti umani, dopo le accuse di omicidio, stupro, schiavitù sessuale e domestica nei confronti di un gruppo di donne indigene.

«È stata una sentenza storica, un precedente, perché è stato riconosciuto il diritto di lesa umanità nei confronti di queste donne che deve essere riconosciuto, per casi analoghi, in tutto il mondo».

Anche l’ambiente è uno dei temi per cui lei si batte maggiormente. Cosa pensa dell’intervento delle multinazionali del petrolio, anche nel suo Paese, oltre che in generale nell’America Latina?

«La Chevron Texaco ha inquinato per trent’anni il Guatemala, scaricando nei nostri fiumi e nelle nostre foreste gli scarti delle sue lavorazioni petrolifere. Ora dobbiamo costringerla a pagare un congruo risarcimento, anche se c’è un evidente sbilanciamento di poteri. Ma sarebbe un precedente che servirebbe non solo al Guatemala, ma anche al resto del mondo per casi analoghi».

Cosa pensa di papa Francesco?

«Che la sua opera è molto importante e che è un Papa che sta dimostrando una sensibilità enorme verso i problemi sociali del mondo. Per questo spero di poterlo presto incontrare».

Anche l’Europa - l’Italia in particolare - conosce in questi anni il dramma dei migranti e delle morti assurde legate al loro esodo.

«Una volta quello dei migranti era un problema solo dell’America Latina, ora lo è diventato anche dell’Europa, con cui sono solidale. Non si tratta di una contrapposizione tra ricchi e poveri del mondo, qui è in gioco la dignità umana».

Quali sono le battaglie in cui è attualmente impegnata, oltre a quella ambientale?

«Quella di fare sì che le donne maya possano andare all’università e completare il ciclo di studi, Perché questo sarebbe molto importante per la loro crescita, così come quella di avere un’educazione multilingue o almeno bilingue. Sto lavorando a un progetto di questo tipo anche con altre sei donne che, come me, hanno già ricevuto il Nobel».

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