Si fermano i fili delle marionette create da Margot
La Galante Garrone si è spenta a 76 anni Fondò “La Fede delle Femmine” e cantò Brassen

Ha cantato Brassen, ha mosso i fili di una folla di marionette, ha interpretato come poche altre la musica folk. La voce e le mani di Margherita Galante Garrone, martedì notte, si sono fermati per sempre. Torinese di nascita, veneziana d’adozione, Margot - com’era chiamata da tutti - è morta martedì notte all’età di 76 anni all’ospedale di Nervi, dove era ricoverata da qualche mese. Il mondo della cultura, e in particolare quello veneziano, perde con lei una figura di artista delicata e appassionata. «Un’artista molto importante per la città - la ricorda il sovrintendente della Fenice Cristiano Chiarot - che ci mancherà molto».
Figlia maggiore del magistrato e politico Carlo Galante Garrone, Margot sin da piccola s’interessa di musica, ascoltando e assimilando gli chansonniers francesi Georges Brassens, Barbara, Boris Vian) e imparando a suonare la chitarra.
Grazie all'incontro con personaggi come Michele Straniero, Fausto Amodei, Sergio Liberovici (che sposerà ad appena diciotto anni) è tra gli esponenti di spicco del gruppo di Cantacronache. Con Cantacronache, incide le prime canzoni di cui è autrice, oltre a riproporre le canzoni folk e popolari che la ricerca di Straniero, di Liberovici e di Emilio Jona, oltre che di Margot stessa, porta alla luce.
Madre di Andrea Liberovici, anche lui cantautore e regista teatrale, Margot arriva a Venezia dopo il secondo matrimonio con Giovanni Morelli e prende casa alla Giudecca, a pochi metri da quella di Elton John.
Per l’artista inzia un perido fecondo che culmina, negli anni Ottanta, con la fondazione del Gran Teatrino La Fede delle Femmine insieme a Leda Bognolo, Paola Pilla e a Margherita Beato. Dalle mani e dalla fantasia di questo trio di signore escono i prodigiosi spettacoli di marionette che incantano il pubblico.
La stessa artista, nel presentare le sue marionette, ne parlava come fossero creature vive. «Le nostre marionette sono pezzi unici. Sono tutte in legno, con espressioni diverse, snodabili in più punti - ha spiegato in un’intervista di qualche tempo fa al nostro giornale - Le muoviamo con nove fili, ma alcune, le più complesse, anche con dodici».
Dagli occhi, fatti con pezzi di vetro, ai sontuosi costumi, che non dimenticavano nulla, nemmeno i mutandoni e il collarino, ogni marionetta aveva un’anima propria. Per portare in scena questo piccolo mondo antico, Margot Galante Garrone aveva costruito due teatri, uno a casa sua, per le prove e l'altro, identico ma smontato e pronto per le trasferte, nei magazzini della Fenice.
Gli spettacoli duravano in genere 50 minuti, per un pubblico di non più di settanta persone per volta, nel buio più totale, senza voci, accompagnati solo dalla musica. «Ogni tanto facciamo comparire sulla scena un nostro piede, o un braccio, giusto così per dare le proporzioni: se sente lo stupore del pubblico» raccontava ancora l’artista.
Numerosi i titoli degli spettcoli, 16 in 19 anni: da quello tratto dalla musica di Galuppi su “Edoardo ed Elisabetta” da Casanova a “Questo è il vero Pulcinella” da Stravinsky, o ancora “The Scarlett Letter” da Kagel. Fino a “Un boia e un frate, un gobbo e un re”, realizzato per gli 85 anni di Andrea Zanzotto, nel quale le marionette si erano trasformate in un videoclip. Ma la passione, negli anni, si è dovuta anche scontrare con un genere tutt’altro che facile. «E' una forma d'arte, non uno spettacolo per bambini. In altri paesi d'Europa c'è molta più conoscenza in questo settore, da noi, che l'abbiamo inventato, si è disperso» spiegava, muovendo i fili con una punta di rammarico.
(m.pi.)
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