Soccol, la metamorfosi della realtà in mito ha lo splendore del nero

Lo splendore del nero. Che sia materia stessa dei quadri o li connoti sotto forma di lunghe ombreggiature che li attraversano come confini, questo colore è da sempre la cifra distintiva di un pittore come Giovanni Soccol.
Così è anche per la raccolta ma significativa mostra che i Musei Civici Veneziani dedicano all’artista veneziano, inaugurata ieri alla Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’Pesaro (fino al 22 aprile) curata da Gabriella Belli e Elisabetta Barisoni e intitolata “Metamorfosi della realtà in mito”.
Il simbolismo di Soccol – che continua, anche nelle tecniche, un’antica tradizione veneziana appresa dai suoi maestri Guido Cadorin e Gennaro Favai, facendo una sorta di alchimista del colore – emerge anche dai cicli pittorici presenti nella mostra.
Dai teatri ai labirinti alla grande Marea che in qualche modo suggella l’esposizione, in quella dimensione ciclica, intrisa anche di esoterismo che è propria di questo artista che ritrova in essa anche un gusto quasi scenografico nell’elaborazione compositiva, in cui la figura umana è sempre assente.
sovrapposizioni
La pittura di Soccol è fatta di incessanti sperimentazioni cromatiche e di continue sovrapposizioni di piani e di velature. La sua pittura, timbrica più che tonale, dominata da una superba padronanza delle tecniche, indaga sulle infinite possibilità del nero, per farne elemento di contrapposizione luministica, fendendolo con quei tagli di luce metafisica, chiarissima o dorata, che insegue continuamente nei suoi dipinti.
È doveroso che la città in cui vive e opera da sempre, Venezia, gli abbia finalmente dedicato una mostra in uno spazio pubblico per annodare quei “fili” con i grandi predecessori e per seguire la traccia che egli a suo modo prosegue. Un’esposizione che segue quella che lo scorso anno gli ha dedicato il Museo del Paesaggio di Torre di Mosto.
I cicli pittorici
La pittura di Soccol procede per cicli pittorici: tra gli altri le Basiliche, le Battigie, le Cisterne, i Teatri, le Porte d’Acqua gli Isolati, le Petroliere, i Firmamenti e ora, ultimi in ordine di tempo, i Labirinti d’invenzione in cui alla pittura si affianca l’architettura, ma anche l’interesse per la scenografia e una dimensione insieme esoterica e teatrale. Soccol è infatti un uomo dai molti talenti, nascosti dietro la barba bianca da inquieto e appassionato profeta biblico. Grande affabulatore, architetto e scenografo, oltre che pittore e a lungo docente dell’Accademia di Belle Arti di Venezia.
L’atmosfera affascinante e tenebrosa di uno dei film più evocativi dell’immagine autentica e non “cartolinesca” di Venezia, “A Venezia un dicembre rosso shocking” di Nicholas Roeg proviene anche dalle scenografie “firmate” da Soccol, e quegli squarci tenebrosi di città, quelle architetture accennate, emergenti dal buio che pervadono quel film, sembrano tratti direttamente dai suoi dipinti. Una pittura di figurazione dopo la prima fase geometrica della fine degli anni Sessanta.
templi pagani
Ma sono le architetture e le forme, le vere protagoniste della sua pittura. Come le Petroliere, algide o oscure, inquietanti, enormi e nello stessi tempo indistinte e vagheggiate dietro le loro prue incombenti, che si confondono, quasi, con il cielo plumbeo in cui galleggiano. O le Cisterne, con il loro intrico di colonnati sospesi tra il nero dello sfondo e l’oro dei capitelli, presenze fantasmatiche in una rivisitazione del mito dell’arte bizantina. O, adesso, i Labirinti d’invenzione, l’ultimo ciclo della pittura di Soccol – presente anche nei teleri di Ca’ Pesaro – grandi strutture elicoidali che si stagliano di fronte a noi misteriose e inquietanti, quasi una sorta di “templi” pagani in cui siamo invitati a entrare.
La mostra si visita fino al 22 aprile; Ca’ Pesaro è aperta al pubblico dalle 10 alle 17 tutti i giorni, tranne il lunedì. —
E. T.
BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova