Squitieri, il regista scomodo passioni e rabbia sul set

È morto a 78 anni. Duramente contestato a Venezia per “Claretta” nel 1984 Il legame con Claudia Cardinale, attrice-feticcio e compagna, e la svolta politica
15/01/2007 PRIMA PUNTATA DEL NUOVO PROGRAMMA DI LA7 NIENTE DI PERSONALE NELLA FOTO PASQUALE SQUITIERI
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ROMA. Polemico e rabbioso fino all’ultimo, utopista e anticonformista per natura e per scelta. Questo era Pasquale Squitieri, nato a Napoli il 27 novembre del 1938 e morto ieri in una clinica romana, per un tumore di cui soffriva da anni. Accanto a lui la moglie, l’attrice Ottavia Fusco, sposata dopo anni di convivenza nel 2013.

L’aggettivo che meglio lo definisce come artista è “fisico”: il suo cinema sprigionava un vitalismo. Spesso coinvolto in battaglie d’opinione e in faziosità ideologiche, per anni venne rappresentato come “il regista con la pistola” mentre il carattere celava sensibilità e timidezze. Deve la sua fortuna al cinema a un linguaggio diretto e senza fronzoli che caratterizzava i suoi film, ma anche al lunghissimo sodalizio con Claudia Cardinale, prima compagna e attrice-feticcio, poi amica che non lo ha mai lasciato solo. Nello scorso novembre, premiato alla carriera dalla rassegna “Primo piano sull’autore” stupì la platea con un infervorato commiato di gratitudine per i suoi attori (Claudia in prima fila) e per i giovani, una generazione a cui è affidata - disse - la nostra sola speranza, ma che «non sappiamo proteggere dalle insidie di una società sempre più marcia e irredimibile».

Laureato in legge, assunto al Banco di Napoli, deve a un infortunio professionale (un’accusa di peculato) la spinta definitiva ad abbandonare il lavoro e a tuffarsi nella sua vera passione per la cultura. Fu Vittorio De Sica a scommettere su di lui nel 1969, producendo il suo lungometraggio “Io e Dio”, permeato di un ribellismo istintivo contro la prepotenza del potere e la cecità della gente “perbene”, comprese le autorità ecclesiastiche. È il frutto dell’ondata anti-sistema del ’68 che trova in Squitieri un appassionato sostenitore, fino a spingerlo su posizioni non lontane da gruppi di contestazione come Lotta continua. Da regista sceglie la metafora politica ammantata da cinema di genere e, con lo pseudonimo di William Redford, si lancia nello spaghetti western con due titoli di successo: “Django sfida Sartana” e “La vendetta è un piatto che si serve freddo”. Abbandonato il cinema di genere, ne porterà gli elementi strutturali in racconti più personali, dedicati al Meridione. Conquista il pubblico con “I guappi!” (1974) con Fabio Testi, “Il prefetto di ferro” (1977) con Giuliano Gemma e “Li chiamarono briganti” (1999) con Enrico Lo Verso nei panni di Carmine Crocco, condannato all'ergastolo per banditismo dopo l'Unità d’Italia e poi rivalutato dalla storiografia partenopea come eroe popolare. L’insuccesso di questo film, ritirato dalle sale in circostanze mai chiarite e accusato di revisionismo storico, chiuse a Squitieri molte porte del cinema, tanto da indurlo ad abbracciare la carriera politica nelle file di Alleanza Nazionale (e poi del Polo delle Libertà).

A Venezia fu nel 1984, con “Claretta”: il film fu pesantemente contestato in sala stampa per una presunta visione troppo edulcorata dell’amante del duce. Valse comunque alla Cardinale il premio Pasinetti come migliore attrice.

Emarginato, un po’ per scelta e un po’ per il carattere polemico, dall'élite intellettuale, ma sempre difeso dal successo popolare, lascia in eredità un pugno di film da rivalutare, una figlia (nata dalla relazione con Claudia Cardinale) e un gruppo ristretto di amici e sostenitori che in lui hanno sempre riconosciuto l’onestà delle idee, la passione individualista, la voglia di non rassegnarsi mai.

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