Una Leonessa d’oro Venezia premia Vanessa Redgrave

«In “La vacanza” il mio personaggio parlava dialetto Ora sono straordinariamente felice. Grazie, cara Mostra»
02/11/2017 Roma, Festa del Cinema di Roma, red Carpet del film Stronger, nella foto Vanessa Redgrave con il figlio
02/11/2017 Roma, Festa del Cinema di Roma, red Carpet del film Stronger, nella foto Vanessa Redgrave con il figlio

venezia

In gioventù anticonformista, più spesso militante, sempre versatile, in grado di passare dal teatro al cinema senza perdere sensibilità: Vanessa Redgrave è il Leone d’oro alla carriera di Venezia 2018. La Biennale ha attribuito il secondo dei due Leoni d’oro alla carriera – il primo è stato assegnato al regista David Cronenberg – all’attrice inglese che non ha nascosto il suo stupore, ricordando di avere un antico rapporto con Venezia: «Sono sbalordita e straordinariamente felice di sapere che sarò premiata col Leone d’oro alla carriera dalla Mostra di Venezia. La scorsa estate stavo girando proprio a Venezia “The Aspern Papers”. Molti anni fa ho girato “La vacanza” nelle paludi del Veneto. Il mio personaggio parlava solo in dialetto veneziano. Scommetto di essere l’unica attrice non italiana ad aver recitato un intero ruolo in dialetto veneziano! Grazie infinite cara Mostra!».



Al di là del “Carteggio Aspern”, di cui parla l’attrice, girato l’estate scorsa dal giovane regista Julien Landais sotto la supervisione di una vecchia conoscenza di James Ivory, l’attrice cita due film di Tinto Brass usciti nel 1971, “Dropout” e “La vacanza”, in cui impersonava una donna fuggita dal manicomio – erano anni basagliani – che si esprimeva in uno grammelot padano. Al suo fianco Franco Nero: i due si erano conosciuti sul set di “Camelot”, lui era Lancillotto e lei Ginevra, instaurando una celebre relazione, consolidata in matrimonio solo nel 2006.

Nata a Londra nel 1937, figlia d’arte, dopo molto teatro shakespeariano, Redgrave si afferma al cinema nel 1966, con “Morgan, matto da legare” di Karel Reisz e “Blow Up” di Michelangelo Antonioni, dopo essersi legata a Tony Richardson, cineasta alfiere del free cinema. Sempre Reisz la dirigerà in “Isadora”, in cui Redgrave mostra una particolare sintonia col personaggio della Duncan, divisa tra l’arte e l’utopia, per lei che era vicina ai trotzkisti. Questo spiega la sua predilezione verso film mai omologati, dall’antimilitarista di “Oh che bella guerra” a “I diavoli” di Ken Russel, fino a “Giulia” (1977) di Fred Zinnemann, con cui dopo molte nomination Redgrave vince l’Oscar. —



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