Una pedalata tra le ferite del Veneto La Pedemontana in bicicletta

Il nuovo libro di Paolo Malaguti è uno sguardo all’ambiente a partire da quel tratto trafficato di polemiche e ricorsi



Dev’essere ancora inaugurato il suo primo tratto; eppure, c’è già traffico sulla Pedemontana veneta di cui tanto si parla, e da tanto: tra carte bollate, ricorsi, polemiche, conti economici, vaticini ambientali. Con un frastuono che rende problematico farsi un’idea non partigiana – in qualsiasi senso – dell’impatto di un’opera discussa come nessun’altra: per chi abbina età a memoria, neppure la famigerata Pi.Ru.Bi (l’autostrada Trento-Vicenza-Rovigo marchiata dalle iniziali del trio Piccoli, Rumor, Bisaglia) fu oggetto di tante battaglie verbali e cartacee.



Come districarsi? L’idea buona è venuta a uno dei più interessanti autore veneti della generazione dei quarantenni, Paolo Malaguti: il quale per una volta si è sfilato dalla sua dimensione abituale del romanzo a sfondo storico, per proporre una ricognizione sul campo, basata sul principio di contrapporre un ritmo lento al tumulto dei confronti verbali & verbosi che accompagnano i lavori. E cosa c’è di più lento della bicicletta? Un mezzo antico ma sempre moderno, che consente all’autore di pedalare non solo nello spazio ma anche nel tempo: lungo il percorso dell’arteria, certo, ma al tempo stesso lungo un intreccio di percorsi storici, letterari, ambientali, culturali, da cui alla fine esce la radiografia di un ben più vasto cantiere in corso: quello di un Veneto che sta cambiando impetuosamente pelle ma anche anima, dopo i secoli della transizione lenta che ne hanno scandito la lunga storia. E il suo punto di osservazione è di estremo interesse, perché collocato in una sorta di zona neutra tra le generazioni di ieri, traumatizzate dal cambiamento, e quelle di oggi, che col cambiamento convivono. I quarantenni, per collocazione anagrafica, siedono sull’orlo della transizione, non più ieri e non ancora domani; con tutto quello che ciò comporta.

Malaguti alla fine non dà un voto alla Pedemontana, bocciandola o promuovendola: il suo è un giudizio in sospeso; anche perché l’impatto vero appartiene alle generazioni successive. E purtuttavia, pedalando idealmente con lui attraverso un paesaggio oggettivamente sconvolto, almeno a “quelli di ieri” rimane sullo sfondo una sensazione inquietante: come di un abisso tra il Veneto descritto dagli autori del passato, da Piovene a Zanzotto, da Meneghello a Rigoni Stern, e quello bollato dalla bruciante denuncia odierna di Trevisan o dalla satira di Paolini. In tal senso, la Pedemontana che sta prendendo corpo non è un fatto isolato, per quanto impattante, ma l’ultimo di una serie di interventi dell’uomo sull’ambiente che finiscono per stravolgerne la geografia non solo fisica, ma anche e soprattutto umana.



È Malaguti stesso a segnalare che le pedalate lungo il sedime della superstrada sono state anche uno strumento per leggere il paesaggio circostante: antropizzato come in poche altre parti d’Europa, sotto la spinta di un boom economico che ha indiscutibilmente portato benessere materiale, ma che ha anche indotto un mal-essere interiore di fondo, nei singoli come nella società. Basta oggi imboccare un qualsiasi itinerario nel profondo Veneto per comparare l’equilibrio del paesaggio di ieri con il disordine di quello di oggi: tra capannoni svuotati, villettopoli con i finti nani in giardino, centri commerciali a dismisura, profluvi di rotonde. È sufficiente leggere i rapporti statistici per verificare come la “sacra fames” di cemento sia la più elevata in Italia, con la Lombardia; così come basta sfogliare le raccolte dei giornali per ripercorrere le devastazioni inferte all’ambiente da calamità che naturali non sono.

Così, alla fine, sceso di sella, Malaguti lascia a ciascuno esprimere il proprio giudizio. Ma ai più vecchi, agganciati ai ricordi delle lezioni imparate da piccoli sui banchi di un’altra scuola rispetto a quella di oggi, viene istintivo rispolverare antiche lezioni: come quella di Heidegger, quando parlava dell’«ingiunzione» con cui ordiniamo alla Terra di consegnarci le risorse. O ancor più dell’Iliade, quando lo Scamandro esonda in reazione alla strage di Achille: forse contro la natura abbiamo dichiarato una nuova guerra di Troia. Dimenticando che costa sempre caro inquinare le limpide acque del fiume della vita. —





Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova