Venezia si mobilita per non perdere l’urlo di “Exodus”

Petizione per lo straordinario ciclo di Safet Zec allestito alla Pietà in occasione della Biennale 
Fermare l’esodo di “Exodus”. È, “Exodus”, il titolo del gigantesco ciclo pittorico che l’artista bosniaco Safet Zec ha dedicato al tema dolente dei migranti, ospitato sino a fine novembre a Venezia nella Chiesa della Pietà, come una delle mostre collaterali della Biennale Arti Visive, che si chiuderà domenica. I potenti teleri di Zec - tredici in tutto, realizzati in soli tre mesi all’inizio del 2017 dall’artista nel suo studio di San Francesco della Vigna - la sua figurazione quasi espressionista, richiamano fin dal titolo la dimensione biblica dell’esodo di centinaia di migliaia di migranti giunti in Europa, con una sorta di sacralità laica nella composizione. “Exodus” è composto da quattro sezioni pittoriche, unitarie e indivisibili: il trittico di Alan, il bimbo siriano morto su una spiaggia turca; quattro tele con corpi “portati” e “abbracciati”; la “barca”, ovvero lo zatterone dei naufraghi. E, infine, il “corpo appeso”, al singolare, ma in realtà due punti di vista dello stesso corpo che ne consentono una emozionante percezione tridimensionale. Un groviglio pittorico di abbracci estremi, mani che coprono volti lacerati, lacrime pietrificate, braccia e mani disperate tese fino allo spasimo, per aggrapparsi, per tentare di non soccombere, per chiedere aiuto, misericordia, accoglienza. Una testimonianza anche personale di un artista come Zec che ha vissuto la tragedia di un conflitto devastante e il dramma dello sradicamento, della fuga, dell’esilio, quando con la sua famiglia fu costretto ad abbandonare la Bosnia e la sua città, Sarajevo, dilaniate da una guerra fratricida. Una pittura materica, con un segno forte che guarda alla “lezione” figurativa dei grandi del passato, ma valorizzata da gesti molto meditati e tuttavia immediati: la tempera è stesa con il pennello ma anche con le mani e con gli stracci, come appunto fecero grandi pittori come Tiziano e Rembrandt. E la mostra, aperta dal 13 maggio, ha ottenuto un grandissimo successo di pubblico, con oltre mille visitatori al giorno, circa 160 mila complessivi.


Ma a fine mese “Exodus” dovrebbe lasciare Venezia e il ciclo in qualche modo disperdersi. Ed è per questo che è nato in città un Comitato Exodus, fatto di amici ed estimatori di Safet Zec e del ciclo pittorico sul dramma dell’immigrazione, che vorrebbero restasse in permanenza a Venezia, possibilmente all’interno di uno spazio sacro. È già stata lanciata una petizione on line (http://chn.ge/2itveyE), che in poco tempo ha raccolto circa duecento adesioni.


«Scopo del Comitato» spiega l’architetto Giorgio Leandro, noto professionista veneziano amante dall’arte, che presiede il Comitato «è quello di promuovere la conoscenza del ciclo pittorico, agevolandone l’esposizione anche in altre prestigiose sedi, per poi ricercare appunto una sua definitiva ed adeguata collocazione, possibilmente a Venezia, per diventare un patrimonio permanentemente e liberamente visibile. Questo per l’altissimo valore artistico, civile e morale che pervade l’opera di Safet Zec, per il suo significato universale e per mantenerlo sempre unito evitandone la dispersione».


Sabato alle 11 nella Chiesa della Pietà ci sarà la presentazione pubblica dell’iniziativa, alla presenza - tra gli altri - del sindaco di Sarajevo, Abdulah Skaka.


Zec è tra l’altro l’autore della Pala della Deposizione della Chiesa del Gesù a Roma che fu svelata e benedetta da papa Francesco il 27 settembre 2014. Ha già esposto in una sua antologica qualche anno fa al museo Correr, curata dall’allora direttore dei Musei Civici Veneziano Giandomenico Romanelli, che è anche uno dei curatori di “Exodus”, E che parla per il pittore bosniaco di un «demone della pittura» che lo pervade. Safet Zec ha vissuto e lavorato a Belgrado fino al 1989. Nei primi anni Novanta è uno degli artisti più importanti del suo paese e lo rappresenta alle maggiori e più importanti esposizioni internazionali. Negli anni che seguono è di nuovo a Sarajevo, fino al 1992 quando a causa dalla guerra è costretto a lasciare il suo paese e arriva in Italia, prima a Udine e poi a Venezia, che diventa per lui una seconda patria.


Anche per questo “Exodus” dovrebbe restare qui.


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