Zandomeneghi cantore delle donne moderne

di Simonetta Zanetti
Fissò sulla tela le fisionomie, i gesti, il fascino della Belle Époque, creando quell’immaginario di donna parigina che ha fatto storia, cantore di una figura femminile emancipata ritratta nei vari momenti della quotidianità, dal rito della toilette alle passeggiate al Bois, dalla lettura alle chiacchiere al caffè, fino alle serate mondane a teatro, regista di sguardi, gesti e dettagli che creano atmosfere.
Con queste credenziali, arrivano a Padova le opere di Federico Zandomeneghi, che oltre un secolo fa - l’anno prossimo ricorre il centenario della scomparsa - ritraeva la “vita moderna”.
Nato a Venezia, spinto dalla sua arte e dalle sue passioni arrivò a Parigi dove divenne protagonista con Boldini e De Nittis della triade degli . Italiens de Paris. Qui, come e più degli altri, grazie a uno stile inconfondibile e personalissimo e a un uso raffinato della tecnica del pastello, seppe cogliere il fascino e le atmosfere uniche delle piazze, dei boulevard e della vita sociale che ravvivava la città. A tutto questo, dal primo ottobre, Palazzo Zabarella dedica un’antologica - curata da Francesca Dini e Fernando Mazzocca e promossa dalla Fondazione Bano - con cento opere tra dipinti a olio e pastelli per lo più sconosciute al grande pubblico e provenienti da istituzioni pubbliche come la Galleria d’arte Moderna di Palazzo Pitti di Firenze e raccolte private italiane, inglesi e francesi. Un puzzle che ne ripercorre, tassello dopo tassello, la carriera fin dagli esordi: da testimone e attore del passaggio da un naturalismo impegnato, con quadri di denuncia sociale, a una pittura che ha saputo interpretare in maniera molto personale le novità dell’Impressionismo.
Figlio di un’arte che lo voleva scultore - il nonno Luigi era stato intimo di Canova e il padre Pietro aveva realizzato il monumento di Tiziano nella Basilica dei Frari - fuggì da Venezia per evitare di essere arruolato nell’esercito austriaco. Fu a Firenze dove entrò in contatto con i Macchiaioli, prima di trasferirsi, nel 1874, a Parigi dove trascorse il resto della sua esistenza entrando in contatto con gli Impressionisti, in particolare Degas e Renoir - la cui veloce pennellata e il ricorso alle ombre colorate ne ricorda l’opera, anche se la stesura cromatica e a puntini sembra anticipare alcune soluzioni divisioniste di Seraut - e inserendosi da protagonista nell’officina della “pittura moderna”. Quindi, la partecipazione alle “collettive” rafforzò il suo legame con il gruppo, soprattutto Pissarro e Degas e, in un secondo tempo con un giovane Toulouse-Lautrec.
Così “Zandò” - come lo chiamavano i suoi amici francesi -, seppe inserirsi nel clima sperimentale della capitale francese, unico italiano a far parte del gruppo delle mostre alternativa a quelle dei Salon.
Nella sua opera un’audace indagine degli spazi urbani parigini, dove ambienta istanti di vita quotidiana, ma la rappresentazione della vita moderna si concentra anche sugli interni. Ma dove il pittore veneziano raggiunse la maggiore intensità nella rappresentazione delle scene e delle atmosfere della moderna vita parigina è la serie ambientata al caffè, composta da tre dipinti vera espressione della sua massima adesione alla pittura impressionista e tra gli esiti più originali delle sue sperimentazioni. Il percorso della mostra si concentrerà quindi sul periodo compreso tra l’ultimo decennio dell’Ottocento e i primi anni del nuovo secolo in cui Zandomeneghi diventò interprete della nuova sensibilità femminile e di atmosfere mondane. Non manca, infine, uno spazio dedicato alla stagione più matura, in cui il maestro affrontò un motivo particolarmente seducente come il rapporto tra la figura e la natura morta dei fiori.
Il sopraggiungere della morte, a pochi mesi dall’amico Degas, è l’ulteriore suggestione regalata al fascino dell’impressionista veneziano.
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