«Ai giovani consegno “Noi no”, un manifesto Solo due lettere, la miccia di ogni rivoluzione»

intervista
Per Claudio Baglioni i riflettori sono l’altro aspetto di una natura introspettiva. Con il tour “Al centro”, il 15 e il 16 aprile torna in Veneto e arriva al Palaverde di Treviso.
Baglioni, oggi chiunque pretende di essere al centro. Lei cosa risponde a chi vuole tutto e subito?
«Tutto e subito è contro natura. Contro la natura dell’arte, soprattutto. Nel subito non si crea nulla: nemmeno una canzone. Ogni cosa deve maturare. Prima di tutto noi stessi. Poi le idee che portiamo dentro. E per entrambe le cose, ci vuole tempo. Se le cose fossero così facili, tutti riuscirebbero ad avere successo e, soprattutto, a mantenerlo. Il fatto che pochi lo abbiano e pochissimi riescano a mantenerlo, dimostra che facili non sono. Neanche un po’».
La nostra canzone ha nuove leve ma non più talenti come lei, Dalla o Vasco. Viviamo un periodo da basso impero, aldilà dell’esperimento Sanremo?
«Non so se l’Impero sia basso. A dire la verità, non so nemmeno se ce ne sia rimasto uno. Ma temo che il punto sia che la musica, in genere, non è più al centro dei nostri pensieri. Negli anni ’60 e ’70, era lei il social network. I ragazzi si conoscevano, si parlavano, si amavano, vivevano attraverso la musica. Non è più così».
Cosa pensa di aver cambiato in due Festival di Sanremo?
«Spero di aver contribuito a cambiare l’idea del Festival, insistendo, soprattutto, sul concetto di qualità. Qualità nella scelta di canzoni, artisti, generi musicali; qualità di uno show inteso come uno spettacolo musicale ripreso dalla televisione e non un programma televisivo inframezzato da canzoni. I risultati mi sembra ci abbiano dato ragione».
C’erano margini per osare ancora di più?
«I margini per osare ci sono sempre. Guai se non fosse così. Sarebbe la fine. La mia storia artistica personale lo testimonia: ho sempre cambiato – ripetersi significa annoiarsi e annoiare – e, ogni volta, ho cercato di alzare un po’ di più l’asticella della qualità».
Nelle piazze rivediamo gli studenti, votati alla causa ambientalista. Per la prima volta, dal ’68, siamo davanti a una generazione che può davvero cambiare le cose?
«Personalmente, lo spero. Anche perché il rischio è che la generazione successiva non trovi più nulla di cui occuparsi. Sarebbe un vero disastro. Sono convinto che invertire la rotta sia ancora possibile. E mi auguro vivamente che riusciremo a farlo».
In piazza torna il Bob Dylan di protesta. Quale di Baglioni canzone le piacerebbe che cantassero?
«“Noi no” è senza dubbio un manifesto importante, anche perché è stato adottato spontaneamente dai giovani, soprattutto a Palermo, come simbolo di opposizione a conformismo, opportunismo, silenzio e omertà. Io credo che questa semplice parola di due lettere sia la miccia, il cuore e il simbolo di ogni rivoluzione. L’importante è riuscire a trovare il coraggio e la forza di dirlo».
Ha mai la tentazione di dire: mi avete contestato per anni, adesso dovete ammettere che sono lo stesso artista da sempre, semmai siete cambiati voi?
«No. La verità è che siamo cambiati tutti. Com’è inevitabile e giusto che sia. E ci siamo resi conto che certe divisioni ideologiche, certi steccati, certe rigidità non hanno senso. La vita è come la musica: per farla, c’è bisogno di tutte le note. Non esistono note giuste o sbagliate, belle o brutte: c’è un modo giusto o sbagliato, bello o brutto di metterle insieme».
Qual è la sua idea di mondo urbano?
«Non ho un’idea del mondo. Ho a mala pena un’idea di me stesso. E non sempre mi convince. Credo, però, che se la realtà fosse davvero a misura d’uomo, sarebbe decisamente migliore. E, soprattutto, credo che se la parola umanità tornasse a essere Umanità, le cose andrebbero infinitamente meglio. Torniamo a dare Umanità all’umanità. Non ce ne pentiremo».
Quando canta, avverte che il suo pubblico deve difendersi da qualcosa? Stiamo parlando ormai di tre generazioni con percezioni e paure diverse.
«Tutti dobbiamo difenderci da qualcosa. La vita aggredisce. Non da oggi. E le canzoni possono essere rifugio, anche scudo. E, così come ci si abbraccia più forte, a volte si sente il bisogno di cantare, insieme, più forte. Vinile, cd, mp3 sono modi diversi di “rammendare un’assenza”, un po’ come un messaggio in chat. Va bene quando non c’è modo di vedersi. Ma nulla può dare le stesse emozioni di uno sguardo, uno stringersi le mani, un parlarsi o tacere faccia a faccia. Non rinunciamoci». —
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