Come aiutare gli studenti svantaggiati a progettare il proprio futuro
L’intervento / Chi è più indietro senza alcuna colpa, italiano o straniero che sia, va aiutato a crescere. La proposta del ministro e l’esempio australiano

I dati Invalsi 2023 mostrano con chiarezza che nella scuola italiana persistono grandi differenze nei risultati secondo le caratteristiche delle famiglie degli studenti.
Oltre alle differenze territoriali – con il Sud mediamente e sistematicamente penalizzato, a partire dalle elementari, ma specialmente alle medie e alle superiori – i ragazzi con risultati peggiori sono quelli provenienti da famiglie con genitori meno istruiti e più poveri, e quelli di famiglie straniere.
Ad esempio, gli studenti con esiti eccellenti alla fine delle superiori sono più del 20% quando provengono dalle famiglie più ricche e più istruite della media, non arrivano all’8% se provenienti dalle famiglie più povere e meno istruite della media. E gli studenti eccellenti sono il 14% se entrambi i genitori sono italiani, l’8% fra i nati in Italia ma con genitori stranieri, il 6% fra i nati all’estero e con genitori stranieri (vedi dati dettagliati in www.secondowelfare.it/nova-schola).
Questi esiti sono poi legati a doppio filo all’accesso alle facoltà universitarie che avviano ai percorsi lavorativi più prestigiosi e meglio retribuiti.
Alla luce di questi risultati, va considerata seriamente la proposta del ministro Giuseppe Valditara di costruire qualcosa di innovativo per gli studenti penalizzati, non perché pigri e fannulloni, ma a causa di un contesto sfavorevole, applicando finalmente la seconda parte dell’articolo 34 della Costituzione: «I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi».
Per rimediare a diseguaglianze così profonde, non è però sufficiente qualche ora di scuola in più, né è opportuno rispolverare le vecchie classi differenziali, in cui concentrare gli studenti con maggiori difficoltà.
In luglio-agosto di qualche anno fa sono stato all’Università di Canberra (durante l’inverno australe), dove i miei figli di 10 e 12 anni hanno frequentato una scuola pubblica australiana con molti alunni stranieri. Trascorrevano circa metà del tempo in classe anche con compagni australiani, per le materie in cui non sono necessarie eccessive competenze linguistiche (educazione fisica, economia domestica, attività artistiche...). Nelle altre ore, gli studenti appena arrivati venivano raggruppati al di fuori della loro classe, e “bombardati” da English as a second language.
Con progressivo incremento delle difficoltà linguistiche, imparavano la storia e la geografia dell’Australia, ma anche la matematica. Se fossimo rimasti più a lungo, nei mesi successivi il tempo trascorso in classe con i compagni australiani sarebbe aumentato fino ad arrivare, al termine dell’anno scolastico, a inserire pienamente gli alunni stranieri nella nuova classe.
La normativa italiana prevede già la possibilità di organizzare la didattica secondo modalità simili a quelle appena descritte, nell’ambito dell’autonomia delle singole scuole. Se questo non viene fatto è per mancanza di mezzi (un corpo docente numericamente limitato e non adeguatamente formato), ma anche per una errata interpretazione dell’idea di uguaglianza.
Credo si debba sempre ricordare la frase di Lettera a una professoressa: «Non c'è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra disuguali».
Chi è più indietro – senza alcuna colpa e responsabilità, italiano o straniero che sia – va dotato di strumenti aggiuntivi, altrimenti è impossibile colmare il divario con i compagni supportati dalla famiglia. Se questo accade, fra i giovani stranieri e italiani penalizzati da un contesto sfavorevole diminuisce l’autostima e cresce il risentimento.
Essi vedono che, malgrado i loro sforzi, sono sempre indietro rispetto ai compagni, e non possono realizzare il sogno – loro e dei loro genitori – di avanzamento sociale. La prima cosa da fare è organizzare luoghi in cui aiutare gli studenti in difficoltà non supportati dalle famiglie a svolgere bene i compiti a casa.
È quello che già fanno molti Comuni ed enti del Terzo Settore. Ma è necessario anche riorganizzare il tempo scolastico, secondo modalità simili a quelle prima descritte con riferimento alle scuole australiane. Ognuno dovrebbe avere la scuola di cui ha bisogno.
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