Giorgio La Malfa: «L’integrazione scongiura le guerre»

A Venezia il premio dedicato a Ugo La Malfa andrà alla direttrice Kristalina Georgieva: «La cooperazione internazionale e un’Europa più unita sono l’unica strada per evitare i conflitti»
Luca Piana
Kristalina Georgieva, Janet Yellen, Chrystia Freeland e Christine Lagarde al G7 di Stresa
Kristalina Georgieva, Janet Yellen, Chrystia Freeland e Christine Lagarde al G7 di Stresa

Lunedì 27 maggio a Venezia verrà consegnato per la prima volta il premio internazionale intitolato alla memoria di Ugo La Malfa, straordinaria personalità politica, conosciuto per aver fondato nel 1942 il Partito d’Azione, eletto nel 1946 nell’Assemblea costituente e poi tra i fondatori del Partito Repubblicano. Il premio è stato assegnato a Kristalina Georgieva, direttrice generale del Fondo Monetario Internazionale, che lo riceverà in una cerimonia a cui parteciperà il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. 

Giorgio La Malfa, come nasce la scelta della Fondazione Ugo la Malfa di istituire un premio dedicato a suo padre e di assegnarlo alla direttrice del Fondo monetario?

«L’anno scorso ho avuto una serie di incontri con l’Università Ca’ Foscari, dove mio padre aveva studiato fra il 1920 e il 1925, e poi con le due istituzioni dove aveva lavorato negli anni successivi, prima l’Enciclopedia Italiana e poi Intesa Sanpaolo, la banca che ha raccolto l’eredità della Banca Commerciale Italiana, dove fu assunto nel 1933 da Raffaele Mattioli e lavorò fino a quando entrò nella Resistenza. In tutte queste istituzioni aveva potuto coltivare temi di grande importanza per il suo pensiero economico e politico, come la cooperazione internazionale, il libero scambio, l’integrazione europea. Da questi incontri è nata l’idea di una cattedra a lui dedicata e di un premio non monetario che possa portare in Italia personalità di grande rilievo internazionale, come accade con i grandi premi istituiti in altri Paesi. La scelta di premiare il Fondo monetario, che ha avuto un ruolo fondamentale dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale, ci è sembrata di grande attualità. Per di più la direttrice Georgieva è stata anche commissaria europea, un incarico che ci riporta a una delle questioni oggi fondamentali, la necessità di una maggiore integrazione europea».

Perché fu importante il Fondo dopo la Seconda guerra?

«Perché rappresenta il simbolo della lungimiranza con cui i Paesi vincitori affrontarono il Dopoguerra. Alla nascita del Fondo collaborò il grande economista John Maynard Keynes, che già dopo la Prima guerra mondiale aveva partecipato alla Conferenza di Versailles, lasciando i lavori a metà per scrivere un libro preveggente come “Le conseguenze economiche della pace”. Keynes aveva compreso l’errore che stavano commettendo le potenze vincitrici, che volevano rendere gli sconfitti sempre più deboli. Imparata la lezione, grazie anche a Keynes, dopo la Seconda guerra i vincitori si preoccuparono invece di ripristinare rapidamente il sistema internazionale dei pagamenti, in modo da favorire gli scambi commerciali. Poi vennero concessi grandi aiuti economici, attraverso il Piano Marshall e la Banca Mondiale. Se ci pensa, tre Paesi simbolo del miracolo economico furono la Germania, il Giappone e l’Italia, che avevano perso la guerra».

Oggi però i sovranismi tornano di moda. Perché?

«I motivi sono vari. Hanno pesato i quattro anni della presidenza di Donald Trump, con minacce nei confronti di quasi tutti e con il rischio che a novembre vinca nuovamente le elezioni e torni alla Casa Bianca con velleità ancora maggiori. E poi penso alle molte forze politiche contrarie all’integrazione europea, anche all’interno della nostra maggioranza di governo, per non parlare di quanto accade in Francia, in Germania o in Olanda. C’è anche da dire che la globalizzazione porta con sé un aumento complessivo dei redditi, ma non in modo uniforme. In certi Paesi può crescere la disoccupazione e questo alimenta i partiti che vogliono il protezionismo. Bisogna dunque affrontare bene questi problemi».

Anche il Fondo monetario ha perso importanza?

«Con gli accordi di Bretton Woods del 1944, presi ancora prima che finisse la guerra, al Fondo venne assegnato il ruolo cruciale di mantenimento e di sostegno del sistema dei cambi fissi, che rappresentava la base per un commercio internazionale libero. Quando all’inizio degli anni Settanta gli Stati Uniti, per riequilibrare la bilancia dei pagamenti abbandonarono la convertibilità del dollaro in oro, ponendo fine ai cambi fissi, anche il Fondo cambiò pelle, diventando un’istituzione dedicata a consigliare ed assistere i governi nelle decisioni di politica economica. Un ruolo che sa svolgere egregiamente, come ha mostrato qui in Italia pochi giorni fa, avvertendo il governo che un indebitamento così elevato finirà per portarci nei guai. Questo ruolo di assistenza è non meno importante di quello originale, proprio perché il Fondo è il simbolo della cooperazione internazionale».

Quanto furono importanti gli studi a Ca’ Foscari per la formazione di suo padre?

«Moltissimo. Le lezioni di Gino Luzzatto, professore di storia economica, di pensiero socialista ma di impostazione liberale, furono decisive per la sua formazione economica. Sempre qui incontrò Silvio Trentin, professore di istituzioni del diritto pubblico che lo avviò all’impegno diretto nella battaglia politica antifascista e gli fece conoscere Giovanni Amendola, la personalità che ebbe la maggiore influenza sulla sua formazione politica».

È dunque qui che prese forma il suo sostegno al libero scambio e alla cooperazione internazionale?

«Le do una piccola anticipazione del mio intervento di domani. Ricorderò la liberalizzazione degli scambi fatta dall’Italia, nel 1951, prima ancora della Germania, quando mio padre era ministro del commercio estero nel governo De Gasperi. Prima a Ca’ Foscari, poi alla Banca Commerciale di Mattioli, mio padre aveva avuto la possibilità di respirare un’atmosfera internazionale che era molto diversa da quella del fascismo. Gli effetti dell’apertura al libero commercio, assieme al sostegno internazionale garantito dal Piano Marshall, furono decisivi per far entrare l’Italia nel boom economico».

Venezia è stata anche all’origine dell’antifascismo di Ugo La Malfa?

«Mi raccontava di aver visto l’operato degli squadristi che si facevano chiamare “cavalieri della morte”. Quest’anno ricorrono i cento anni dell’assassinio di Giacomo Matteotti ma non bisogna dimenticare che nel 1925 Amendola venne bastonato ferocemente da una squadra di fascisti e subì lesioni talmente gravi che l’anno successivo lo portarono alla morte. L’agguato avvenne poche settimane il primo e unico congresso dell’Unione Democratica Nazionale, nel quale era intervenuto anche mio padre, che allora aveva solo 22 anni. Amendola l’aveva immaginato come un grande partito dei ceti medi del Paese, riformatore in economia, saldamente democratico nel campo dei diritti civili, alieno da ogni estremismo. Il Partito d’Azione che mio padre concorse a formare all’inizio degli anni Quaranta fu concepito con questo stesso obiettivo».

Anche in questo momento drammatico, con la guerra di nuovo in Europa, la cooperazione internazionale resta l’unica strada per uscirne?

«Le democrazie non vanno volentieri in guerra, ci devono essere trascinate. E per i Paesi che commerciano con il resto del mondo vale lo stesso. I giovani, che sono nati con l’euro, devono ricordare che l’Europa non è nata facilmente ma è stata un atto fortemente voluto da personalità straordinarie. Non per altro il Manifesto di Ventotene, uno dei testi fondanti del processo di integrazione europea, fu scritto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni nel 1941, mentre erano costretti al confino dal fascismo».

***

Mattarella e l’intervento di Visco al Teatro Goldoni

Ugo La Malfa in una foto del 1975 con Aldo Moro e Gianni Agnelli
Ugo La Malfa in una foto del 1975 con Aldo Moro e Gianni Agnelli

Il premio intitolato a Ugo La Malfa verrà consegnato a Kristalina Georgieva domani alle 11.30 in una cerimonia al Teatro Goldoni di Venezia, alla quale parteciperanno il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è l’ex governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che terrà un intervento.

Il premio fa parte di una serie di iniziative che nascono da un accordo di collaborazione tra la Fondazione Ugo La Malfa, l’Università Ca’ Foscari e Intesa Sanpaolo. Il sostegno dell’istituto nasce anche dal ruolo che La Malfa ha ricoperto nella Banca Commerciale Italiana (Comit), banca che ha dato un contributo importante alla rinascita del Paese nel dopoguerra, poi confluita in Intesa Sanpaolo. Ugo La Malfa entra in Comit nel 1934.

Dopo il 1942, grazie a lui gli uffici in Piazza della Scala, a Milano, divennero un centro di attività clandestine contro il governo fascista. Nel 1943 scampò all'arresto, dopodiché si dedicò interamente alla Resistenza e, con il ritorno della democrazia, all'attività politica. Nella sua vita La Malfa, scomparso nel 1979, si è distinto per il suo impegno a favore dei valori della libertà e della democrazia, lasciando un'eredità rilevante per il Paese.

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova