Caso Resinovich, ecco il perché della nuova perquisizione a casa del marito Visintin

La Procura vuole far luce sulle tre ore che l’uomo passò nel laboratorio il giorno della scomparsa di Lilly

Laura Tonero
Visintin nella stanza dell’appartamento adibita anche a laboratorio (foto Francesco Bruni)
Visintin nella stanza dell’appartamento adibita anche a laboratorio (foto Francesco Bruni)

Le polveri, in particolare quella di zirconio, prodotte dall’affilatura dei coltelli, e poi i consumi dei macchinari usati per questo tipo di attività, sono stati gli elementi al centro della nuova perquisizione effettuata martedì mattina nell’appartamento di via Verrocchio a Trieste, dove risiede Sebastiano Visintin, indagato per l’omicidio della moglie Liliana Resinovich.

Gli operatori della Squadra Mobile, della Scientifica, assieme ai consulenti della pm Ilaria Iozzi (gli ingegneri Robis Camata e Oscar Pesaventi) hanno bussato a Visintin alle 7.30. Per lasciare l’abitazione quattro ore dopo.

Visintin – assistito nel corso delle operazioni dall’avvocato Alice Bevilacqua, che assieme a Paolo Bevilacqua lo difende – è stato collaborativo, fornendo anche indicazioni sul funzionamento dell’affilatrice, della macchina refilatrice, di quella necessaria ad aspirare le polveri e della lucidatrice. Quelle attrezzature – in precedenza si trovavano nel laboratorio in via Donadoni che Visintin già da tempo ha lasciato, trasferendole in una stanza della sua abitazione – in poche ore sono state poste sotto sequestro per eseguire gli accertamenti, e poi dissequestrate, senza la necessità di trasferirle altrove.

 

Le tre ore di “buco” sotto la lente

Sotto la lente di Iozzi ci sono le tre ore che la mattina del 14 dicembre 2021, giorno della scomparsa di Liliana, dopo aver fatto il giro delle pescherie e prima di salire in bicicletta per la pedalata ripresa dalla GoPro, Visintin aveva passato in laboratorio. Tre ore considerate di “buco”, perché se le celle telefoniche raccontano del suo tragitto per arrivare in via Donadoni, dal suo ingresso nel laboratorio il suo cellulare entra in una zona d’ombra, perché in quel locale non c’è ricezione. Per accertare che, come aveva testimoniato, lui fosse realmente lì ad arrotare coltelli, all’inizio delle indagini erano stati acquisiti da AcegasAps Amga i dati sul consumo di energia.

La multiutility aveva accertato che c’era stato un effettivo consumo dalle 9.15 alle 12.15. La Procura in merito aveva affidato una consulenza sulla lettura dei contatori all’ingegnere Alberto Rogari. Partendo da quei dati, la pm «ritenendo vi sia fondato motivo che nell’abitazione di residenza dell’indagato», e comunque «in qualunque luogo chiuso o in veicoli nella disponibilità di Visintin, possano rinvenirsi beni e cose pertinenti al reato», ha dato precise indicazioni. Chiedendo di verificare se i consumi registrati quella mattina siano compatibili con l’uso di quei macchinari. In sintesi, vuole accertare se in quelle tre ore Visintin stava veramente arrotando coltelli, oppure se la semplice accensione di affilatrice e refilatrice, senza un reale utilizzo, avrebbe fatto comunque registrare quei dati. Così martedì, con i macchinari in uso e poi semplicemente accesi, con specifici rilevatori sono stati registrati i consumi, che ora verranno analizzati.

 

Campioni da prelevare

 

L’altro scopo della perquisizione di martedì, come detto, era quella di prelevare dei campioni delle polveri prodotte da quell’attività di affilatura di forbici e coltelli, nello specifico quelle di zirconio, materiale che compone i nastri abrasivi utilizzati per arrotare le lame.

Nella stanza che Visintin ha destinato ai macchinari, sulle stesse attrezzature, sono state cosi eseguiti dei tamponi, dei prelievi che verranno poi comparati con le tracce del medesimo tipo di sostanza rinvenute sui capi di abbigliamento o sulle scarpe indossati dalla vittima quando è stata ritrovata cadavere.

Ad esempio, sulla punta della tomaia della scarpa sinistra di Liliana, nel corso delle consulenza del team di Cristina Cattaneo è stata rilavata la presenza di zirconio, assieme a solfato di calcio, carbonato di calcio, ferro, cromo, nichel, ma anche silicio. Cosa che non dovrebbe però stupire, visto che la donna viveva con Visintin, che certamente aveva abiti e scarpe con quantità importanti di quei metalli. Ma Iozzi, evidentemente, punta a mettere in fila diversi elementi, per costruire un indizio.

Altre tracce potrebbero emergere dagli accertamenti che il gip Flavia Mangiante ha disposto vengano svolti in incidente probatorio dal collegio peritale composto da Paolo Fattorini, Chiara Turchi e Eva Sacchi sui sacchi che avvolgevano il corpo, gli indumenti o le scarpe.

La richiesta di Visintin non è stata accolta

Ieri mattina, Visintin ha chiesto che venissero eseguiti quei prelievi non solo nella stanza dove arrota i coltelli, ma anche nel resto dell’abitazione. Accertamento che però è stato negato, perché «tale attività – si legge sul verbale – non rientra in quelle delegate e disposte dall’autorità giudiziaria nei termini del decreto a lui notificato».

Il marito di Liliana, con quella proposta, voleva evidentemente far rilevare che tracce di quelle polveri, di quegli elementi trovati dove lui affila i coltelli, sono presenti anche nelle altre stanze. E molto probabilmente lo erano anche nel 2021, quando quell’attività veniva svolta nel laboratorio di via Donadoni, e poi il marito di Liliana, attraverso le scarpe, i vestiti, le borse, li trasferiva comunque in casa, e anche nell’automobile. —

 

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova