A 40 ANNI DALLA STRAGE / «Noi, quella notte, sull’Italicus»

Erano nel vagone della morte, un giovane ferroviere li fece accomodare in un’altra carrozza. E così salvò loro la vita

PADOVA. Sono le storie dei vivi a onorare il ricordo dei morti. Quarant’anni fa, il 4 agosto 1974, una bomba distrusse il treno Espresso1486 Italicus all’uscita della galleria vicino alla stazione di San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna. Morirono dodici persone. E per quello che può essere classificato come destino e ascritto al novero dei casi della vita, fra i superstiti ci fu una famiglia di Castelfranco Veneto.

Salita a Roma sulla carrozza che poi è saltata in aria, la famiglia di Renzo Baggio si era spostata poco prima di Firenze su un altro vagone: «Così i bimbi stanno più comodi e possono dormire meglio» aveva suggerito il controllore Silver Sirotti, lui che, a 25 anni, quella notte perse la vita tentando di salvare le persone che stavano bruciando nel treno.

Matilde Venturini, oggi ottantasettenne e rimasta vedova sette anni fa, ricorda ancora con grande lucidità quella notte. Oltre a lei e al marito Renzo c’erano la sorella Antonia, oggi novantenne, il figlio Fausto, all’epoca sette anni, e una cuginetta due anni più grande. «Eravamo stati a Roma a trovare una zia suora» racconta Matilde, ripescando nella memoria i ricordi di quel viaggio.

«Quando siamo arrivati in stazione per prendere il treno del ritorno non sapevamo dove andare, non eravamo pratici. Mentre giravamo in cerca di informazioni un ferroviere ha notato che eravamo in difficoltà. Ci ha chiesto quale treno stessimo cercando e appena gli abbiamo detto che era l’Italicus diretto a Monaco ci ha fatto salire in carrozza».

Silver Sirotti, che aveva compreso il disagio della famiglia spaesata nella grande stazione romana, era proprio il controllore del treno su cui Matilde doveva salire con la famiglia. Tra Roma e Firenze la famiglia Baggio cambia carrozza e sigla un patto con la salvezza: «Quel giovane ferroviere è passato a una certa ora per i biglietti» ricorda Matilde. «Noi grandi eravamo ancora svegli, mentre i due bambini cascavano dal sonno. Quando li ha visti stretti l’uno all l’altro sul sedile, ci ha invitati a passare su un vagone più avanti, di seconda classe, dato che c’erano molti posti liberi. Così abbiamo preso i nostri bagagli e abbiamo seguito il suo consiglio».

Il treno procedeva verso Bologna; fuori era buio. La famiglia Baggio aveva appena sparigliato le carte sul tavolo del destino. All’una e 23, all’uscita dalla galleria dell’Appennino, a poca distanza dalla stazione di San Benedetto Val di Sambro, un boato squarcia il silenzio: si scatena un incendio e il vagone - quello da cui si era spostata la famiglia Baggio - viene avvolto dalle fiamme. È lì che si contano le dodici vittime dell’attentato.

Nel racconto di Matilde entra la voce del figlio Giancarlo: «Ogni volta che mia mamma ricordava questa storia, si rammaricava di non sapere chi fosse quel giovane controllore che aveva salvato la vita a tutti loro. Per tanti anni l’ho ascoltata come una delle solite storie degli anziani. Di recente però ho voluto approfondire. Mi sono reso conto che, per un puro caso della vita, quella notte non ho perso la mia famiglia».

È così che Giancarlo Baggio scopre l’identità del ferroviere: è Silver Sirotti a cui nella stazione centrale di Bologna è dedicata una lapide: morì nell’estremo tentativo di salvare alcuni passeggeri nel vagone incendiato, un gesto eroico che gli è valso la medaglia d’oro al valor civile. Dopo tanti anni, c’è un debito di riconoscenza ancora in sospeso. Ed è per questo che il figlio di Matilde Venturin ha deciso di andare a Forlì quest’anno, in occasione del quarantesimo anniversario della strage dell’ Italicus, per rendere omaggio a quel giovane. Domani gli renderà omaggio, una preghiera davanti alla sua lapide, quarant’anni dopo. «È un gesto che sento di dover fare» ammette Giancarlo Baggio «e se riuscirò, anche se è ormai molto anziana, ci porterò anche la mamma».

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