«A Venezia si rischia la paralisi»

Il grido d’allarme di Daniele Grasso, presidente dell’ordine degli avvocati
AGOSTINI VENEZIA 31.01.2009.- INAUGURAZIONE ANNO GIUDIZIARIO 2009. CORTE D'APPELLO. AVV. DANIELE GRASSO (PRES. ORDINE AVVOCATI VENEZIA).- INTERPRESS
AGOSTINI VENEZIA 31.01.2009.- INAUGURAZIONE ANNO GIUDIZIARIO 2009. CORTE D'APPELLO. AVV. DANIELE GRASSO (PRES. ORDINE AVVOCATI VENEZIA).- INTERPRESS

PADOVA. E in Veneto che accadrà? La rivoluzione della macchina giudiziaria rischia di paralizzare Venezia, che erediterà 9 mila processi civili e 2 mila penali dalle sedi periferiche chiuse: che sono Chioggia, Dolo, San Donà e Portogruaro pronta ad emigrare a Pordenone in Friuli, con il consenso di tutti. Le altre sezioni soppresse in Veneto sono Pieve di Cadore a Belluno, Cittadella ed Este a Padova, Adria a Rovigo, Castelfranco, Montebelluna e Conegliano a Treviso, Legnago a Verona e Schio a Vicenza. I giudici di pace continueranno a lavorare nelle loro sedi periferiche, solo se i Comuni si sobbarcheranno le spese amministrative e gli onorari dei giudici.

Le critiche degli avvocati. Daniele Grasso, presidente dell’ordine forense di Venezia, è molto perplesso: «La legge all’articolo 2 prevedeva criteri che non sono stati applicati. Il più importante fa riferimento agli indici di produttività e nelle sedi periferiche del Veneto si lavora con l’efficienza del Nordest: ci sono vere e proprie isole record nello smaltimento delle cause penali e civili. L’unificazione con Venezia rischia di collassare il tribunale e la procura perché solo 6 dei 21 dipendenti in mobilità hanno accettato il trasferimento a Rialto, tutti gli altri hanno preferito emigrare a Padova e a Treviso. A Venezia c’è l’acqua alta e la nuova cittadella della giustizia è molto in ritardo. I problemi sono oggettivi: si corre il rischio che non ci sia il personale amministrativo per le udienze. Va poi considerato che dalle sedi periferiche arriveranno 11 mila procedimenti che si sommeranno ai 10 mila fascicoli arretrati: temo proprio che le piante organiche debbano essere ricalcolate», conclude l’avvocato Grasso.

Il caso Este. Il «tribunalino» di Este chiude ma a Rovigo non c’è spazio. È un paradosso clamoroso quello toccato al tribunale della città murata della Bassa padovana. Fatta eccezione per i cinque Comuni che passeranno sotto le competenze del tribunale di Padova (Battaglia Terme, Arquà Petrarca, Galzignano, Montegrotto e Monselice), a sobbarcarsi l’attività fino ad oggi gestita da Este sarà infatti Rovigo. Dove lo spazio per accogliere la nuova mole di lavoro manca. Nel Polesine, infatti, emigreranno anche i sette dipendenti atestini. A Rovigo servono almeno duemila metri quadri per accogliere il lavoro estense, e l’unica soluzione pare quella di affittare un palazzo nei pressi dell’attuale tribunale. In questi giorni le autorità cittadine stanno cercando la soluzione più veloce e meno gravosa. E pensare che il tribunale, ad Este, è economicamente sostenuto dalla locale amministrazione comunale, che a proprie spese ha realizzato meno di dieci anni fa uno stabile tutto nuovo, per il quale sta pagando ancora un mutuo. La chiusura di Este oltre ad ingolfare il tribunale rodigino rischia di mandare in collasso anche il tribunale di Padova, che deve accollarsi l’onere di smaltire tutte le cause atestine ancora pendenti. Che non sono poche: uno degli ultimi aggiornamenti, datato giugno 2011, vedeva 1.776 cause civili pendenti e 325 penali. La situazione, a distanza di due anni, non dovrebbe essere cambiata di molto. I fascicoli dei processi in corso del tribunale di Este sono ormai quasi tutti trasferiti a Padova, mentre i vecchi faldoni, il cosiddetto archivio, resteranno invece nella ormai ex sede del tribunale atestino fino a data da destinarsi, ossia fino a quando il Comune di Padova non metterà a disposizione degli spazi adeguati.

Nicola Cesaro

e Albino Salmaso

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