Alessandra Moretti, ascesa e caduta di Ladylike

VENEZIA. Corre la primavera del 2012, stagione di primarie del centrosinistra, quando Pierluigi Bersani - sfidato dal giovane rottamatore Renzi - prova a svecchiare il team nominando portavoce la sorridente e telegenica Alessandra Moretti, avvocato matrimonialista, divorziata e mamma di due ragazzi, vicesindaco di Vicenza.
Sconosciuta al vasto pubblico, approdata ai dem dopo l’iniziale candidatura centrista, “Ale” non lesina complimenti al segretario («È un uomo affascinante, mi ricorda Cary Grant») né bacchettate all’aggressivo Matteo fiorentino.
Poi la musica cambia, Bersani (fedele al copione Crozza) non riesce a “smacchiare il giaguaro” e anzi colleziona schiaffoni dai 5 Stelle mentre Renzi è lesto a scalare partito e Governo. Moretti - nel frattempo eletta alla Camera - non ci pensa due volte a balzare sul carro del vincitore, circostanza che la sinistra interna non le perdonerà.
Tant’è: candidata come capolista alle europee 2014, supera le 230 mila preferenze, un successone che sembra proiettarla verso una radiosa carriera. Non fosse che l’anno successivo lo stato maggiore renziano la convince ad abbandonare Strasburgo per tornare in Veneto a contendere la poltrona di governatore a Luca Zaia.
Lo strapagato “mago elettorale” di Renzi la trascina in una maratona estenuante nei 587 (587!) comuni veneti, giurando che il successo è a portata di mano. Lei però inanella gaffe a ripetizione, rivendicando le assidue visite ad estetista e parrucchiera in barba al look dimesso e bruttino stile Rosy Bindi: tanto vale a conquistarle l’appellativo “Lady like” e l’antipatia di molte, troppe, elettrici.
Morale della favola: alle urne il leghista supera il 50% mentre lei non va oltre un malinconico 22%, record negativo di sempre. «Ho scontato cattiveria e misoginia», si sfoga «e in campagna elettorale mi hanno vestita come un ferroviere quasi la mia femminilità fosse una colpa da scontare». Vabbé.
Si rituffa nella politica da capogruppo al Consiglio regionale, compito sgradito a chi (è il suo caso) non ama l’opposizione minoritaria. Così prova a reinventarsi ambasciatrice del Governo in Veneto, chiede udienza a Zaia per discutere a porte chiuse le questioni «di interesse generale» e - mentre il suo flirt con Massimo Giletti conquista le pagine rosa - intensifica le trasferte nella Capitale, attirata dal fascino del Giglio Magico.
Tra i consiglieri Pd i mugugni crescono («Non c’è, non si prepara, pensa ad altro») “Ale” Moretti però marca stretto Renzi e nelle ripetute visite “referendarie” del premier in Veneto, lei è sempre in prima fila né risparmia l’impegno in favore di una riforma che la proietterebbe in Senato, lontana dall’ingrato Palazzo Ferro-Fini. Finisce con una valanga di No e con un viaggio in India, dove l’amico Jorge Sharma, orefice milionario, celebra nozze da nababbo. Nulla di male, non fosse che i colleghi - precettati in aula per la discussione del bilancio - la credono a casa, malata. Il web si scatena in lazzi impietosi. È l’ultima goccia. Au revoir Ladylike.
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