Alessandro Bozzoli: «Il mio amore per le maglietteè nato sui banchi del liceo»
Studente modello, ingegnere e marito. «Ai coetanei dico: trovate un’idea e buttatevi»

Vecchi satrapi, mollate il potere! «Perché mai?- tuona Pierluigi Battista dal Corriere.- I giovani vogliono il potere? Se lo prendano. Mostrino i muscoli, se ne sono forniti, ed il loro talento, se non ne sono sguarniti».
Di muscoli cerebrali e talento ne ha da vendere Alessandro Bozzoli, trentenne imprenditore padovano, al lavoro dodici ore al giorno, sabato compreso. La Audes, società che ha fondato nel 2005 per produrre capi di abbigliamento sportswear di ottima fattura a prezzi concorrenziali, ha trovato sede in una barchessa rosa con porte e finestre bianche alla periferia di Padova. Là dove c’è ancora l’ erba e la città è a un passo dall’arrivare. Attraverso un loft, in cui ciascuno ha spazi e competenze propri, ci invita a sedere alla sua scrivania da manager. Magro, lo sguardo serio e penetrante anche quando sorride, la camicia bianca sbottonata, pare un nouveau philosophe più che un industriale rampante.
Trent’anni ed un aspetto così maturo?
Trent’anni di certo, sono nato a Padova nel’77 da una famiglia di industriali nel ramo costruzioni in acciaio. Da studente al Nievo, in collaborazione con un amico del T. Livio, feci fare in laboratorio 300 magliette grigie col logo della scuola, subito bissate da altre 300. Caso o predestinazione?
Studi universitari?
Ingegneria gestionale a Vicenza, conclusa a 24 anni con 110 e lode ed un commento di mio padre: “Un po’ meno del tuo dovere”. Io e mia sorella, avvocato, siamo stati tirati su con rigore. In contemporanea con l’Università ho svolto il servizio civile alla biblioteca di Scienze Politiche a Padova e portato a termine uno stage presso la mitica PricewaterhouseCoopers; multinazionale di consulenza, che al termine degli studi ci ha assunti in due su cinquanta aspiranti.
Sede di lavoro?
Da Padova sono stato catapultato a Milano, Roma, Napoli, Parma, Treviso, occupandomi di realtà di primo livello quali Renault, De Longhi, Benetton, Parmalat, Carraro. Sono divenuto specialista nel controllo di gestione, in pianificazione e controllo dei costi, nella delocalizzazione del processo produttivo. Con la De Longhi in Cina, ma soprattutto con la Benetton nei paesi dell’ Est, Tunisia e Croazia mi sono fatto un’esperienza nella gestione dei laboratori. E’ stato qui che ho individuato un vuoto nel prodotto sportswear personalizzato. Oggi a farlo sono perlopiù grosse imprese americane, che facendo produrre centinaia di migliaia di capi nel Far East da esportare in tutto il mondo, ottengono un prodotto di qualità medio-bassa, essendo il tessuto cinese e la vestibilità cinese. Con la mia équipe ci siamo chiesti perché un prodotto personalizzato dovesse essere per forza di bassa qualità e ci siamo posti un obiettivo: “se hai un’azienda o un club e compri un capo personalizzato da Audes, potrai andarci fuori a cena o per l’aperitivo e non solo per fare jogging o i lavori di casa”.
Cosa è significato «partire da zero» nel suo caso?
Farlo nel significato letterale del termine: in una stanza di casa mia, con 12.000 euro frutto del mio lavoro in Price. Per caso il primo cliente è stato mio padre, che dovendo riassortire le felpe aziendali si è sentito proporre: “te le faccio io”. Mi sono studiato un capo acquistato in negozio ed ho fatto realizzare quelli ideati da me in un laboratorio locale. Ne è rimasto soddisfatto e poiché è uno contrarissimo ad investire in comunicazione, mi sono detto: “se ha comprato lui, possono farlo tutti”. Ho cominciato a girare col mio campionario di pochi capi, assicurandomi le commesse di una- due aziende locali e di una concessionaria Mini, bruciate in 10 giorni. Ho individuato quattro filoni, su cui sviluppare il commerciale: aziende, associazioni, club sportivi, università. Tra le prime aziende clienti abbiamo avuto Blue Box condizionatori, Luxardo, Komat’su, Bain and Company, la stessa Price e poi Ferrero.
La mitica Ferrero?
Nel 2006, dopo aver visto ad una fiera dello sci a Modena delle ragazze con felpe Pocket Coffee, ho fatto telefonare dalla responsabile commerciale di Audes per chiedere se potevano essere interessati a noi. Dieci giorni dopo mi sentivo proporre dal capo acquisti dell’azienda di Pino Torinese: “se mi dà un prodotto migliore del nostro ad un prezzo più bassi, ci stiamo”. Ci siamo riusciti perché la Ferrero si serviva d’ una griffe famosa, che scaricava sul prezzo il valore del suo brand. Da un primo ordinativo di 5000 felpe Nutella, siamo arrivati nel Settembre 2007 a 20.000 pezzi. Essendo un’azienda che punta enormemente sul marketing e che incentiva i migliori clienti mediante capi col marchio, Ferrero ci ha affidato gli altri suoi brand Estathè, Pocket Coffee, Kinder, Mon Chéri. Mentre il marchio Audes, stampato sull’etichetta interna di Nutella, richiamava nomi quali Nestlè, Autogrill e Douglas: catena di profumerie tedesche, che abbiamo strappato ad una multinazionale veneta dell’abbigliamento casual. Sto parlando di aziende perlopiù italiane, ma ora vogliamo mirare ai Best Global Brand, marchi di fama planetaria.
Qualche altro nome tra i primi clienti?
Abbiamo avuto lo studio legale milanese Bonelli- Erede- Pappalardo, che conta 500 avvocati. Con l’acronimo BEP abbiamo fatto un primo test di 100 felpe ed altrettante polo, andate a ruba in due giorni. Poi sono venuti Porsche Club e Bmw motorrad. L’idea di far indossare ad un team lavorativo i medesimi capi è di derivazione anglosassone e denota l’appartenenza ad un’élite.
Quanto ad associazioni?
Ci siamo assicurati delle chicche: Golf Asolo, Compagnia della Vela di Venezia, il mitico Sci Club 18 di Cortina, per cui abbiamo creato felpe, polo e gilet imbottiti; il Vip Club, sempre di Cortina, quello di Vacanze di Natale e di Jerry Calà, di cui abbiamo preso in licenza il marchio.
E le Università?
Produciamo per il Politecnico di Torino, per quelle di Verona e di Padova; per quest’ultima creiamo pezzi con l’acronimo Unipd, in vendita nell’Upstore tra i due cortili del Bò. Ma siamo ancora distanti dai numeri dei campus americani.
Qualche cifra di fatturato?
Da metà 2005, quando siamo partiti, abbiamo fatturato 45.000 euro; nel 2006, 230.000 e nel 2007 1.300.000. Una crescita esponenziale ottenuta col duro lavoro dell’azienda, dei consulenti e fornitori per un prodotto, che il mercato richiede solo con certi standard qualitativi ed un alto libello di servizio.
Come siete organizzati in azienda?
Premetto che siamo una magnifica squadra, che guarda ai risultati e non all’orologio: è bello lavorare con persone così motivate ed intelligenti. Io mi occupo del commerciale e dell’organizzazione; abbiamo un ufficio stile per lo sviluppo delle nuove idee; c’è un modellista per mettere a punto la vestibilità del capo ed un addetto ai “progetti speciali”, che in questo momento sta studiando una collezione e preparando un campionato per la Federazione Italiana Tennis intenzionata a lanciare un proprio marchio. Per quanto riguarda la produzione,una persona coordina la decina di laboratori, che lavorano per noi: il 20% in Italia ed il resto distribuiti tra traPortogallo e Turchia. Un annuncio in anteprima: Audes in Portogallo sta per aprire una filiale in società con un gruppo industriale locale.
Immaginava che a trent’anni sarebbe arrivato dov’è?
Soprattutto lasciando l’ottimo posto in Price per entrare in un settore in stra-crisi come quello della moda, dove ogni giorno saltano aziende.... Credo però che il duro lavoro e la capacità di leggere la realtà in modo innovativo scaccino la crisi. Bisogna però essere in grande sintonìa con i clienti: esigenti perché rappresentano realtà importanti. Anche le banche ci hanno aiutato con i pagamenti ai fornitori, conoscendo la nostra serietà e la solvibilità dei nostri clienti.
Il trentenne d’oggi è visto come un «bamboccione» con lavori a tempo, scarsi guadagni, incapace di rendersi indipendente: è così?
Certo una volta erano “altri tempi”. Per quanto mi riguarda, l’unica cosa che ho fatto e rifarei, è stata quella di buttarmi. Con un’idea originale, i soldi si trovano sempre. Bisogna poi saperli gestire e per me la conoscenza delle dinamiche economico -finanziarie in Price è stata preziosa. Così come l’inserimento nel network dei giovani imprenditori, guidati a Padova da Jacopo Silva. Certo bisogna lavorare sodo: non basta inventarsi un marchio per sfondare, non esistono soldi facili.
Non ci dica che le è rimasto tempo per l’amore..
L’anno scorso mi sono sposato con Veronica, la ragazza che ha creduto in me. Lei è medico oculista ed ha ottenuto un incarico fisso in ospedale a Conegliano. Ogni mattina esce di casa alle 6.30 e poco dopo io vado in ufficio. Lei rientra verso le diciannove ed io intorno alle ventuno. Abbiamo una vita pienissima.
Un consiglio al volo ai suoi coetanei.
Scovate un’idea originale, qualcosa che vi piaccia davvero e perseguitela con tenacia. Sono da mettere in preventivo difficoltà ed insuccessi iniziali, ma alla fine i risultati arriveranno.
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