Amazon, driver in sciopero «Trasferiti con un sms»

In 160 spostati dal polo di Vigonza ai nuovi centri di Venezia, Vicenza e Treviso «Dobbiamo pagarci i danni al mezzo e recapitare fino a 180 pacchi senza soste»
Elvira Scigliano

Elvira Scigliano / PADOVA

«I danni al mezzo te li paghi tu»; «devi consegnare 130-160-180 pacchi il più velocemente possibile, altrimenti sono guai»; «se dimentichi un pacchetto, magari talmente piccolo che finisce sotto il sedile del furgone e non lo vedi, ti trattano come un “delinquente” »; «se sei un precario sai se lavori o no il mattino stesso: se non stai con il cellulare in mano rischi di perdere una giornata di lavoro». Sono le voci dei driver che lavorano al centro di stoccaggio Amazon di Vigonza, che ieri hanno deciso di incrociare le braccia e fermarsi per 48 ore di sciopero. Vogliono colpire il colosso logistico in quello che più gli interessa: i guadagni. Con loro Filt Cgil e Uiltrasporti.

Sono le 6 del mattino e lo stoccaggio di via Spagna brulica come un formicaio. Da qui, ogni giorno, partono 300-350 mezzi per sei aziende consorziate con Assoespressi. A scatenare la rabbia dei lavoratori 160 trasferimenti considerati arbitrari: «Amazon – riferisce Massimo Cognolatto, della Cgil – aprirà altri tre cantieri in Veneto a Venezia, Vicenza e Treviso e ha deciso il trasferimento di 160 lavoratori su 500. A molti di loro la comunicazione è stata fatta con un sms, contro ogni proceduta contrattuale. Ma se rifiutano rischiano di essere licenziati».

Si comincia dai trasferimenti e si apre il vaso di Pandora: «Parliamo di mezzi che stanno nel traffico cittadino per ore – continua Giorgio Bullo, Uiltrasporti – e dunque può succedere che ci siano degli incidenti. I danni non sono pagati dalle aziende ma dai driver con tre livelli di franchigie: 250, 500 e 700 euro. Questo significa che se fai 2-3 incidenti, anche sciocchi, ti costano il 30-40% dello stipendio». La questione è annosa, nei mesi scorsi – prima con un tavolo regionale e poi nazionale – i sindacati avevano chiesto che i contratti a tempo fossero stabilizzati; che fosse ridotto l’orario settimanale; che lavorare sabato, domenica e festivi non fosse obbligatorio; che i danni al furgone non debba pagarseli il lavoratore. Nessuna richiesta è stata accolta, né da Amzon né da Assoespressi.

«Se voglio rispettare l’orario giornaliero – racconta Emanuele, 45 anni – devo fregarmene del codice della strada. Ho fatto una prova e monitorato il mio lavoro: se rispetto le regole non consegno più di 100 pacchi al giorno, ma me ne danno almeno 130». «Siamo soggetti ad una sorta di “ricatto” – aggiunge Andrej, 32 anni – entri part-time e devi lavorare senza protestare per sperare, dopo 2-3 anni, di raggiungere un contratto a tempo indeterminato. Non a caso il 50% è rappresentato da precari. Il lavoro mi piace tanto, voglio andarci in pensione, ma così non è giusto». «L’altro giorno – riferisce Alberto, 24 anni – mi è letteralmente volata una ruota dal furgone. Andavo a 70 all’ora e poteva finire male. Ma guai a lamentarsi». E ancora «Se fai 40 stop (consegne mancate) – aggiunge Andrej – ti lasciano a casa o rischi che non ti vengono accettate le ferie». «Gli stipendi mediamente sono di 1500 euro – spiega Romeo Barutta, Cgil – ma per arrivarci devi lavorare 10 ore al giorno, sabato e domenica, a conti fatti il compenso è totalmente inadeguato». Dalla parte dei lavoratori si sono schierati il Pd e Forza Italia. —

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