«Artale è un falso deportato» «Magari! Ho doppi documenti»

. Samuel Gaetano Artale von Belskoj-Levi non indietreggia di un passo rispetto alla sua storia d’internamento ad Auschwitz: «Ho 83 anni» dice «sono paralizzato per il 53%, sono seduto su una sedia a rotelle e cammino con il bastone, ma oggi non mi dispiace per me ma per chi ha dichiarato certe cose su di me. Io so chi sono».
L’ingegnere Artale, che vive a Padova, è stato accusato di non essere il vero testimone della Shoah che professa essere, che la storia che da oltre quindici anni racconta nelle scuole non sia la sua. I dubbi sono stati sollevati dallo storico veneziano Gadi Luzzatto Voghera, direttore del Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano, e dall’International Tracing Service di Bad Arolsen (Germania), Centro internazionale sulla persecuzione nazista che conserva le schede delle persone deportate nei campi di concentramento: non ce ne sarebbe alcuna con il nome di Artale.
Contro di lui c’è anche la questione dei documenti: Artale dichiara di essere nato nel 1937 a Rostock, in Germania, da una famiglia ebreo-prussiana; ma c’è un altro documento, italiano, che ne attesta la nascita in Calabria, a Laino Borgo, in provincia di Cosenza. «Ho doppi documenti» sostiene «quelli tedeschi e quelli italiani. Nei primi, attestati dalla polizia tedesca, c’è scritto che sono di religione ebraica e che sono nato a Rostock; negli altri che sono nato in Calabria. Questi ultimi provengono dalla famiglia calabrese alla quale fui affidato da bambino, all’età di 8 anni, durante la persecuzione razziale della mia famiglia. Nelle mie testimonianze ho sempre raccontato la verità e oggi qualcuno mi consiglia di querelare chi ha scritto che racconto il falso. Forse prenderei dei soldi, ma non è un piatto di pasta a mancarmi. La verità è che sono tanto dispiaciuto. Penso alla mia mamma Helen, uccisa subito dopo essere stata internata, che mi ha sempre protetto ponendo la sua mano sul mio capo. Io ho già vinto la mia battaglia: sono sopravvissuto. Il resto non ha importanza».
Avanza dubbi su di lui anche il rabbino della comunità ebraica padovana, Adolfo Locci: «Non conosco il signor Artale» ha detto «negli ultimi 20 anni, ovvero da quando io sono il rabbino di questa comunità, non l’ho mai visto né mai sentito. Non si è mai rivolto alla nostra comunità, mentre un ebreo cerca sempre questo contatto, fosse anche di passaggio. Ma voglio precisare che non esprimo giudizi sulla persona perché non so se la sua testimonianza sia vera. Mi sento solo di dire con forza che provo un dispiacere estremo nell’apprendere che al mondo ci siano persone che millantino di aver vissuto la storia tragica della Shoah. Chi si comporta in questo modo aiuta i negazionisti e i riduzionisti e questo è un grosso pericolo».
Artale ribatte: «Non conosco la comunità ebraica padovana» dice «Ma da questa, e da quella veneziana, sono stato accusato di non essere un bravo ebreo perché ho lavorato di sabato e proprio di sabato ho portato in giro la mia storia di ebreo, mentre il sabato è sacro e non si può muovere nemmeno una seggiola. Questo non mi è stato perdonato, ma io ricordo cosa diceva il filosofo ebreo Spinoza: lavoro perché devo vivere e non faccio del male a nessuno».
Il suo programma di incontri, durante i quali racconta l’esperienza della deportazione patita dagli ebrei durante il secondo conflitto mondiale e la sua personale, non è cambiato per sua iniziativa. Ma, come riferiamo nell’articolo a lato, è stato annullato l’appuntamento di domani a Meolo. —
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