Banksy e la lezione dell’assente che genera emozioni

Non ha bisogno di “essere” perché narra il suo pensiero scegliendo il soggetto e cogliendo la sua anima, la sua critica verso questo universo fatto di esteriorità senza contenuti
Interpress\M.Tagliapietra Venezia 24.05.2019.- Bansky in rio Novo.
Interpress\M.Tagliapietra Venezia 24.05.2019.- Bansky in rio Novo.

I mondi invisibili, i segni sottili dell’arte, creano pensieri fantastici che liberano la fantasia dalle trappole dell’interpretazione conformista. Ci sono segni che narrano il tempo e c’è un’arte sublime come quella di Banksy, il writer della street art che fa della sua celebrità un dettaglio perché la sua identità, e quindi la materialità del suo personaggio, rimane fuori dal suo mestiere, sconosciuta al pubblico.

Non è dovere del personaggio in sé creare l’emozione ma bensì della sua arte, che deve emozionare chi la guarda: essa si compie e si materializza su ponti, facciate, muri, angoli bui di strade talvolta sconosciute.

Percepire l’emozione di chi osserva un graffito di Banksy è pari allo stupore di quando si vede un arcobaleno che improvvisamente copre l’azzurro del cielo.

L’assenza del personaggio priva l’arte della soggettività, ma ricompone nella sua essenza una sorta di ribellione geniale di fronte e verso i meccanismi del nostro tempo, verso quell’imperativo quasi categorico che per esistere devi riempire il mondo dell’immagine di un te stesso compulsivo fatto di selfie, immagini, ritratti postati e ripostati, maneggiati, un voyeurismo ossessivo fatto di una forma quasi bulimica di essere presente non nella realtà, ma di fronte a un mondo inesistente: Instagram, i social, Il Grande (o piccolo) Fratello fanno sì che quel sostare continuo di un’esibizione crei spesso l’alterazione  della realtà, fatta in verità di una solitudine e un protagonismo senza spettatori.

La vera arte non è né una rappresentazione manichea, né una sorta di Risiko vizioso che vuol generare emozioni, né un riduzionismo estetico, ma è immaginazione, perdizione, esaltazione della bellezza evocativa del segno o della forma, dove colore e tratto possono inserirsi nel mondo poetico senza il bisogno della parola.

Banksy non ha bisogno di “essere” perché egli narra il suo pensiero scegliendo il soggetto e cogliendo la sua anima, la sua critica verso questo universo fatto di esteriorità senza contenuti. Chi non c’è, crea il vuoto necessario per dare spazi al desiderio, per lasciare allo sguardo e al pensiero una sorta di libertà; così è anche nei sentimenti.

I blogger, così come anche Il Grande Fratello servono per riempire notti solitarie, amici inesistenti, quotidianità frantumate dal silenzio di case e stanze spesso senza l’anima e, talvolta, senza la fisicità delle persone.

Se comprendessimo la grande arte del dare valore a noi stessi, a chi siamo, senza bisogno di essere presenti e postati in ogni piatto e in ogni momento della nostra giornata, forse tutto ciò darebbe spazio all’essenza che abita in ognuno di noi, consentendo l’armonia dell’essere a prescindere dall’essere stesso.  —

 

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