Barista si uccide a 37 anni angosciato dai debiti

Dramma a Treviso, s’impicca nel suo locale: temeva gli pignorassero la casa del padre
TOME' TREVISO MANUELE BARBISAN SUICIDA IN P. SAN VITO
TOME' TREVISO MANUELE BARBISAN SUICIDA IN P. SAN VITO

TREVISO. «W l’Italia, dopo otto anni sono finalmente libero». Manuele Barbisan ha scritto queste poche parole su un foglio bianco preso dal bancone del suo bar, poi si è infilato il cappio al collo e si è ucciso nel retrobottega del locale di piazza San Vito a Treviso, quel locale che doveva essere il suo sogno, ed è diventato la sua condanna.

Trentasette anni, amatissimo, conosciutissimo, onesto, Barbisan dietro il sorriso e la serenità che ostentava con amici e parenti, nascondeva un baratro profondo, fatto di paure e sensi di colpa. Aveva l’angoscia di non riuscire a fare fronte ai conti di quel Caffè la Corte che aveva rilevato un anno fa liquidando l’ex ragazza e socia Roberta Quaggiotto. Temeva per sè, per il suo senso di responsabilità, ma anche per il padre Danilo, che aveva garantito la sua impresa ipotecando la casa.

Il timore di mettere nei guai lui, di «scaricare» su papà la responsabilità dei debiti, come ogni tanto lasciava trapelare agli amici più stretti, giorno dopo giorno lo aveva fatto sprofondare in una senso di impotenza. «Voleva vendere» dicono gli altri negozianti della piazza, «non lo nascondeva. Sono i discorsi che fanno un po’ tutti, specie di questi tempi e con questa penuria di clienti e affari, ma nessuno immaginava che...».

Vendere per lui sarebbe stata la liberazione, la fine di quella fatica mentale e finanziaria iniziata proprio «otto anni» prima, quando aveva deciso di gettarsi nell’impresa. Ma gli acquirenti non sono arrivati; almeno non in tempo per strappargli dalla testa l’idea che non era «tutto perduto». Impossibile poi «piantare chiodi», come hanno fatto e fanno, senza scomporsi, altri imprenditori meno sensibili e meno corretti di lui. Rischiava di rimetterci il padre, oltre a lui stesso.

Così Manuele si è chiuso nel silenzio, ha smesso di rispondere al telefono per alcuni giorni, è entrato nel locale e si è ucciso avendo ben cura di farlo nell’unico punto del bar nascosto all’occhio dei curiosi.

Ha pianificato tutto. Alcuni giorni fa, incrociando un amico a bordo del suo fuoristrada Hummer lo aveva chiamato sorridendo e dicendo: «Hey, muoviti a farmi fare un giro, perché la prossima settimana la faccio finita». L’altro gli ha risposto con «ma va’», come avrebbe fatto chiunque altro. Manuele invece non scherzava. Lunedì notte, invece di tornare nella sua abitazione di Paese, ha preso le chiavi del bar che avrebbe dovuto aprire dopo poche ore, è andato in piazza San Vito e si è chiuso il portone di vetro alle spalle. Prima di scrivere il biglietto, metterlo sotto una bottiglia, e farla finita, ha inviato un Sms alla collega Mara, la ragazza che lavorava da tempo con lui dietro il bancone e tra i tavoli e che l’indomani mattina avrebbe dovuto aprire il bar: «Non aprire domani, lascia stare» ha scritto, «ci pensa Mario nel pomeriggio». Mario Contin era il suo amico da anni, l’uomo che condivideva con lui tutto, compreso – ogni tanto – il lavoro al bar. Manuele sapeva che solo lui avrebbe potuto avere la forza di reggere il colpo di trovarlo morto, e a lui ha lasciato il terribile onere.

Il cadavere è stato scoperto poco prima delle 14. Molti clienti ed amici erano passati davanti alla vetrina chiedendosi come mai Manuele non avesse aperto. A dare l’allarme Mario, come previsto. Il corpo di Manuele era senza vita da ore. Sul bancone due bottiglie di gin vuote, forse usate da Manuele per darsi la spinta verso la morte. Davanti al bar, davanti al nastro bianco e rosso steso dagli agenti della questura per cinturare il bar e i primi macabri rilievi, il pianto dei colleghi, amici e clienti illuminato dai flash delle foto scattate dalla polizia scientifica.

Poi lo strazio dell’arrivo della sorella, del fratello, dell’ex fidanzata Giorgia. Un rapporto finito sette mesi fa, ma con affetto, senza rancore, senza dolore. «Tutto per questo cazzo di bar» ha urlato lei dopo oltre un’ora di pianto tra le braccia degli amici.

In piazza San Vito, uno dopo l’altro, tutti i commercianti della zona. Chi con gli occhi lucidi di pianto e dolore, chi incredulo, sbigottito. La folla è rimasta davanti alla vetrina ore, anche dopo il recupero della salma di Manuele ghiacciata dalla morte.

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