Benetton, i primi vent'anni di Fabrica

TREVISO. Quando la parola incubatori non esisteva; quando start-up sembrava al massimo un parente lontano dell’hip-hop e quando il web non era il collante delle relazioni - vent’anni fa, insomma - Luciano Benetton fece uno dei suoi viaggi nelle terre che meglio e prima di ogni altro era solito visitare: il futuro possibile. Accompagnato da Oliviero Toscani, con gli occhi della mente vide un luogo altamente tecnologico eppure profondamente umanistico, un’architettura concettuale incastonata nel pieno della campagna veneta e meglio ancora in una villa seicentesca, e vide centinaia di giovani venuti da tutto il mondo per scambiare energie e dare forma alle idee. Vide Fabrica: e la inventò. A darle corpo chiamò un architetto giapponese che in Italia era sconosciuto, e che oggi è una star: Tadao Ando.
Il luogo scelto, Catena di Villorba, provincia di Treviso, sulla carta geografica era allora un incrocio stradale con una chiesa, e qualche stradina interna che portava verso case di contadini, di quelle vere con l’aia e il vigneto intorno. Lo è anche adesso: solo che al posto dell’incrocio c’è una rotonda, e in più c’è un campo da rugby. Villa Pastega Manera, dei cui fasti passati non restava traccia, tornò a nuovo splendore e divenne sede degli uffici amministrativi; alle sue spalle Fabrica nacque come stupefacente architettura, scavata nel terreno eppure piena di luce, con il giardino veneto illuminato da grandi vasche d’acqua e, siccome il bello chiama il bello, perfino il grande albero che nel frattempo è morto nessuno lo ha rimosso, perché non sembra un ramo secco ma una scultura.
Entrare a Fabrica significa essere investiti da onde potenti di energia: a dispetto di pavimenti che rendono i passi silenziosi, e del cemento armato che attutisce le voci, qui tutto si muove, si scambia, cresce e si modifica in continuo, oggi come vent’anni fa, sulla base di sensibilità, attenzione, contemporaneità, visione globale, proiezione nel futuro. L’amministratore delegato Carlo Tunioli dice che una svolta è in arrivo, e che Fabrica nel 2015 si aprirà di più all’esterno, anche al territorio che da sempre la ospita. Non è mai stata un fortino, con le sue produzioni il mondo intero si confronta da anni, ma è pur vero che è stata un’idea così innovativa che per anni spiegare all’esterno di cosa esattamente di trattava è stato difficile. Ogni anno, da tutto il mondo mille e 200 ragazzi inviano a Fabrica il loro curriculum per accedere alle borse di studio nei diversi settori - editoral, design, campagne sociali; unico paletto l’età che non deve superare i 25 anni.
Tra tutti, 80 vengono selezionati e arrivano a Catena di Villorba. Due settimane di lavoro: il tempo per presentare il loro progetto, e cosa non da meno per dimostrare di essere capaci di lavorare in gruppo e di fare squadra. Due settimane per conquistare un sogno: alla fine ne restano 35, qualche anno 40. Ottenuta la borsa di studio, a loro è chiesto di lavorare di ingegno e creatività: le idee che nascono qui diventano libri che sono in realtà progetti, diventano oggetti che poi vengono prodotti dalle aziende, o campagne sociali che attraversano tutto il pianeta, e non passano mai inosservate. Un anno: tanto dura l’esperienza. Poi si va nel mondo, a mettere in gioco la propria creatività. Dall’inizio, ne sono passati più o meno settecento: e vent’anni fa, per l’appunto, il web non c’era. Tutto il carteggio per le candidature andava avanti a colpi di fax: la struttura era già avanti, e la tecnologia le stava dietro con il fiatone delle pile di carta che servivano per restare connessi al mondo intero. Negli open space si dialoga e si lavora naturalmente in inglese: se improvvisamente ognuno usasse la lingua madre, al tavolo che in questi mesi sta al centro del settore design sarebbe una specie di Babele di francese, portoghese, giapponese, italiano e l’inglese di un’australiana.
Fabrica trasforma in realtà le idee dei suoi borsisti, o li fa lavorare ai progetti ideati dai responsabili del settore. Lavora anche su commissione, perché produrre idee non significa vivere sulle nuvole, e tutto questo un ritorno economico lo deve dare e in effetti lo dà. Produce oggetti che vengono presentati al Salone del Mobile di Milano; attualmente ha in corso una collaborazione con Daikin. Produce un magazine, Colors, ogni uscita una monografia su un tema che viene trattato sotto tutte le angolature; la sezione editoriale produce libri, e tutta la parte commerciale è sulla rete. La produzione più visibile, quella che comunque fa più parlare, è nel settore campagne sociali: a commissionare sono anche le più importanti istituzioni internazionali. Nell’arena che Ando ha scavato sotto il livello del terreno si svolgono incontri, così come nella sala del seminario: gli ospiti invitati a tenere letture e conferenze arrivano da tutto il mondo. Una biblioteca custodisce migliaia di testi, moltissimi fotografici. Sono i primi vent’anni; i prossimi cominciano nel 2015, ma il futuro abita già qui.
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