Benvenuti al Museo del ciclismo di Portobuffolè

La bicicletta da pista di Ottavio Bottecchia, i ricordi di Coppi, Bartali, Magni. Il Museo del Ciclismo di Portobuffolè, tra i più importanti d’Italia, porta in seno una storia gloriosa e una dedica accorata: rivolta a due conterranei che hanno portato alto il nome dello sport sulle due ruote. Si tratta di Giovanni Micheletto, vincitore del quarto Giro d’Italia con la mitica Atala, e Duilio Chiaradia, primo cineoperatore della Rai che ha inventato la ripresa sportiva.
Micheletto e Chiaradia, compaesani originari di Sacile, ben rappresentano l’essenza del polo museale che ha trovato una nuova casa nell’ex convento della Chiesa dei Servi. Al suo interno risuona il ricordo di un’antica impresa di raccolta e conservazione della memoria avviata dal pordenonese Toni Pessot che nella sua trattoria a Stevenà ha creato un primo embrione del futuro museo.

Fino al 1973 la raccolta comprendeva maglie iridate, gialle, rosa, oro, arancioni, tricolori, azzurre e nere, una sorta di tempio sacro dei successi che ha destato in poco tempo l’interesse dei campioni. Atleti, appassionati e collezionisti hanno via via arricchito la collezione, donando cimeli, fotografie e aneddoti sulle imprese.
È così che a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta l’associazione Civiltà Alto Livenza decide di dare forma a un museo vero e proprio, che nascerà nel 1995 negli spazi di Casa Gaia Da Camino a Portobuffolè, lo scorso 24 luglio l’inaugurazione della nuova sede, a poca distanza dalla precedente. Maglie e reliquie da ammirare, ma anche la possibilità di interagire con il patrimonio museale grazie a moderni touch screen.

Il sogno di creare il Museo del Ciclismo è nato in una soffitta alla fine degli anni Ottanta. «In quel periodo a Casa Gaia da Camino a Portobuffolè avevamo a disposizione un piccolo spazio, ma nel giro di poco tempo ci siamo ingranditi, fino a occupare i tre piani dell’edificio». Mario Biancotto, fautore del progetto museale insieme a Giovanni Taschetto, Francesco Momi e Florin Moisescu, non nasconde l’emozione.

I ricordi si susseguono. A trent’anni la “sua” creatura è diventata un riferimento nazionale per appassionati e cultori del ciclismo, densa di campioni e imprese epiche. Ogni fotogramma è fissato con cura: foto in bianco e nero, maglie autografate, omaggi, racconti dei protagonisti che hanno fatto tappa nell’Alto Livenza lasciando traccia del loro passaggio. Il ciclismo di ieri e di oggi, una storia avvincente che rispolvera numerose biografie con curiosi aneddoti. «Il museo è stato un punto d’incontro, gli atleti venivano a fare filò» ricorda Biancotto. Il grande fuoriclasse Fausto Coppi e i figli Marina e Faustino.
E poi la memorabile testimonianza di Fiorenzo Magni, soprannominato il Leone delle Fiandre dopo avervi vinto cinque giri.
«L’aneddoto che ci ha regalato Magni riguarda il Giro d’Italia del 1956» aggiunge Biancotto «Magni è caduto rompendosi la clavicola a Volterra ma ha portato ugualmente a termine la gara, salendo alla Madonna del San Luca di Bologna legandosi il tubolare della bici attorno al collo e alla mano. Lo teneva con i denti, a mo’ di fasciatura. È stato massacrante, ma la volontà e il sacrificio lo hanno portato a terminare la corsa».
Museo del Ciclismo Alto Livenza
Ex convento della Chiesa dei Servi, via Borgo Servi a Portobuffolè (TV)
Aperto su prenotazione (da settembre l'orario di visita)
Ingresso con offerta responsabile
Informazioni: 0422.850020 ufficioturistico@comune.portobuffole.tv.it
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova