Calearo: «Ho accettato di candidarmiperché Veltroni garantisce un ministro veneto»

L’ex presidente di Federmeccanica spiega i motivi della sua discesa in campo con il Partito Democratico
Massimo Calearo e, a sinistra, Paolo Giaretta
Massimo Calearo e, a sinistra, Paolo Giaretta
Un ministro per il Veneto? «Avete visto, ora tutti copiano Veltroni e il Pd: ma l’idea è nostra. Mia. A Walter e a Paolo Giaretta ho detto: accetto di candidarmi se al governo ci sarà un veneto. Ora si può fare». Massimo Calearo, ex presidente di Federmeccanica, capolista Pd alla Camera dei deputati, industriale vicentino, la sua mission se l’è caricata sulle spalle e da venti giorni sta girando il Veneto. La Lega lo voleva sindaco a Vicenza, per bloccare Lia Sartori del Pdl. Lui invece ha scelto la sfida può difficile: far ripartire l’Italia che vuole abolire la lotta di classe e sostituirla con un moderno patto tra produttori. «In una settimana ho fatto 4 mila chilometri. Arrivo da Rovigo, dove c’è una azienda, la Aijnomoto, colosso giapponese degli aminoacidi, in crisi e occupata da un anno ma che si può salvare se la Regione ci dà una mano. Bisogna trovare un acquirente, il business plan induce all’ottimismo. Cos’ho detto agli operai? Di resistere, di non mollare». Battute al vetriolo, proverbi e aneddoti imparati tra un’infanzia che profuma d’incenso con tre zii preti e la stagione dei salotti di Confindustria: questo è Massimo Calearo in politica. «Io l’erede di Rumor? Lui era un grande. Io no. Ci vuole modestia. E senso della realtà».


Dottor Massimo Calearo, il suo impatto con la politica com’è? La Sinistra Arcobaleno sostiene che lei fino a ieri è stato il capo dei falchi di Confindustria e oggi va in giro a salvare le aziende in crisi. Non c’è contraddizione?
«Guardi, io e il Pd rappresentiamo la visione moderna di risolvere i problemi, mentre la Sinistra Arcobaleno è ferma alla lotta di classe, al muro di Berlino. Anche Fidel Castro è andato in pensione e loro invece sono convinti di far trionfare il comunismo. Noi vogliamo far ripartire l’Italia con un patto tra produttori: operai, artigiani, commercianti e industriali tutti nella stessa barca. Quella della crescita economica, per garantire il benessere. E’ evidente che la Sinistra antagonista coltiva progetti diversi, il Pd è sulla stessa rotta di Tony Blair, Bertinotti è fermo all’ideologia comunista».


Gli imprenditori come hanno preso la «discesa in politica» di Calearo?
«Le leggo un sms di un caro amico. Ero convinto che non mi avrebbe più salutato e invece ha scritto: votare Pd vuol dire votare a destra, perché Veltroni è a destra di Bertinotti. Preferisco votare un amico, persona seria del centrosinistra, piuttosto che votare uno sconosciuto del centrodestra. Per questo ti voto. Io ci ho messo la faccia. Sono un ’’falco’’ per Bertinotti ma non per i sindacati. Chiedete a chi stava trattando con me e vi diranno che Calearo ha cercato in tutti i modi di chiudere il contratto dei metalmeccanici. E ho convinto anche Marchionne della Fiat».


Assai curioso il mix creatosi in Veneto. Chi l’ha convinta a candidarsi: Giaretta o Veltroni?
«Diciamo che il primo a chiedermelo è stato Paolo, persona per bene. Poi ho parlato con Veltroni e ho deciso. Dall’altra parte sono sempre le stesse facce, gli stessi programmi, un uomo solo che gira le piazze e decide da solo. Nel Pd la gente partecipa, abbiamo volti nuovi come Colaninno e il prefetto De Senna, persona che conosco: ora è in Calabria, prima è stato a Treviso. Lo stimo. Quando Giaretta mi ha proposto di fare il capolista, io sono andato da Veltroni e gli ho detto: non basta. Voglio che il Veneto abbia un ministro. Non è detto che debba essere io, ma se me lo chiedono dico di sì: no so miga ebete. Dopo 3-4 giorni Veltroni ha sciolto la riserva e l’impegno è stato ufficializzato nelle città venete. A queste condizioni ho accettato e ora Massimo Calearo è pronto a fare qualcosa per l’Italia».


Ma perché Calearo e non un nome storico dell’imprenditoria di sinistra?
«La novità sta proprio qui», ribatte Paolo Giaretta. «Il Pd aveva bisogno di trovare una persona veramente nuova e rappresentativa del miracolo veneto, insomma un imprenditore estraneo alla storia del centrosinistra. Sia chiaro: ne abbiamo di industriali che votano per noi. Massimo e Mario Carraro, Marina Salamon, Giuseppe Bortolussi, per fare dei nomi illustri. Io invece ho voluto trovare una persona in grado di segnare la discontinuità, l’inizio di una stagione nuova. Questo è Massimo Calearo. Compito della politica è fare sintesi degli interessi generali e nel Pd abbiamo candidato sindacalisti come Nerozzi e Baretta e imprenditori come Calearo. Il nostro modello è la concertazione, mentre il Pdl candida il generale Speciale, che si è fatto portare le spigole con l’aereo».


Il centrosinistra vuole vincere ma in Veneto sarà dura: la Lega vi ha inseguito sulla proposta del ministro veneto. Chi la spunterà?
«Noi, il Pd. Io sono un po’ bastardello e sto girando come un moscolo per far capire alla gente cos’è il Pd. La vecchia sinistra dice: ma cosa fa el paròn tra gli operai... Pazienza. La settimana scorsa sono stato ad Occhiobello con 120 imprenditori e alla fine il mio amico Gino Spinello era contento: li avevo convinti quasi tutti. Parlo di fatti concreti, di come si può mettere in piedi un’impresa in un giorno. I ragazzi sono delusi dalla politica, ma vedono nel Pd il futuro, la possibilità di cambiare l’Italia. Tra qualche anno anche il Veneto potrà essere governato dal Pd».


Alle ultime regionali Massimo Carraro ha notevolmente accorciato la distanza da Galan, ora il quadro è cambiato: ottimisti?.
«Certo. La Lega è molto forte, l’Udc sta per uscire dalla maggioranza cacciata da Galan e quindi si tratta di creare l’idea di un nuovo patriottismo veneto: questa è la terra vincente d’Italia che non può accontentarsi di fornire le bottiglie di Amarone a Berlusconi. Chi vota Lega non capisce che si piega agli interessi della Lombardia, invece il Veneto va riportato al centro, con un patto con il Friuli e Trentino. Assieme a Illy possiamo costruire l’euroregione, è vero che Galan li ha sempre battuti gli MC: Massimo Cacciari, Massimo Carraro. Ma io ho un’altra C, perché mi sono aggiunto il cognome di mia mamma: Ciman. E nol me cuca mia stavolta».


Ma perché lei e Galan siete così rivali: sono le baruffe di Vicenza a dividervi? Camera di commercio, Associazione industriali, candidati a sindaco: tutti ce l’hanno con lei. Come mai?
«No, ma quali rivalità. Io ho molto apprezzato l’idea di Veltroni di non fare la guerra a nessuno e di guardare i fatti. Io mi freno la lingua, ma la gente non vuole le baruffe cioxote. La prima legge che proporrò è che il Presidente della Repubblica sia più alto di 1 metro e 71 cm, supertacchi compresi. Vicenza? Devo ringraziare Berlusconi e la Madonna di Monte Berico. Perché nel 2006 lui è venuto con la sciatica, la Madonna gli ha fatto passare il dolore e il Cavaliere ha fatto il grande exploit a Confindustria. Questo ha messo al centro del sistema Vicenza. La Camera di commercio? Io non chiedo mai, sono gli altri che mi cercano. Luca Cordero di Montezemolo mi ha voluto a Federmeccanica, Veltroni nel Pd. Qualche potere forte della città ha regalato un quadro a Galan per bloccare la mia nomina alla Camera di Commercio e va bene così. In un momento di rabbia mi sono dimesso da presidente di Confindustria Vicenza e sono stati costretti a scegliere un nuovo leader, che ora farà la sua strada».


E per quanto riguarda Lia Sartori che strada farà come candidata-sindaco?. E’ vero che la Lega non vuole votarla?
«Certo. E Variati ce la farà. Non c’è Lia Sartori che tenga. Voi siete abituati alla sinistra che perde sempre. Basta. Il re delle rotonde Cicero sta avendo un buon risultato e ha fatto qualcosa per Vicenza. L’Udc va da sola, la Lega piuttosto che votare Lia Sartori va al mare e quindi Variati vincerà. Il Pd è unito, loro litigano su tutto: sul voto agli immigrati tra Berlusconi e Bossi finirà male».


Cosa serve al Veneto per mantenere il trend di sviluppo?
«Il pacchetto di proposte del Pd, a partire dal federalismo fiscale, sul modello del Friuli. Siamo gli unici a proporre l’autocertificazione per aprire le imprese e la riduzione delle tasse assieme alla lotta all’evasione. Certo che lo slogan Roma ladrona non ci porta da nessuna parte: è solo demagogia».


E lo sciopero fiscale da lei evocato?
«Le mie parole sono state strumentalizzate: il mio era il grido di dolore e di rabbia di chi paga le tasse in un paese di furbi e di evasori con i conti a Vaduz. Io pago fino all’ultimo euro, quella mia frase era il raglio del mulo che stava per morire soffocato dal peso eccessivo che trasportava».


Vendita di Alitalia: l’ipotesi di una cordata veneta è mai stata presa in considerazione?
«Non confondiamo le boutade con le proposte serie. Alitalia è in crisi, se ci fossero i margini di guadagno qualche banca e qualche imprenditore si sarebbero fatti avanti. Ora siamo a 15 giorni dal voto e le proposte di Berlusconi sono scorrette. Io avrei detto: fermiamo tutto e ne riparliamo dopo il 15 aprile. Alitalia mi piange il cuore se passa ad Air France, ma ci si doveva pensare prima. Guardate che il governo ha fatto una gara internazionale nell’autunno 2006 e l’ha vinta Air France. Nessuno si è fatto avanti. Bastava mettere i soldi. Berlusconi fa del peronismo puro».


Esiste un problema stipendi: insomma, gli operai guadagnano poco o no?
«Sì, in Italia gli operai guadagnano troppo poco. E il Pd propone di defiscalizzare tutti i contratti di secondo livello, detassare gli straordinari non serve a nulla. Il Pd vuole il rilancio dell’economia e un federalismo fiscale: ce la faremo. Siamo la vera novità».

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