Case di riposo, l’allarme. «Possiamo resistere solamente per altri 10 giorni»
Il presidente nazionale Volpe: «Siamo indifesi e non troviamo infermieri. Il 90 per cento delle nostre strutture sta per capitolare»

casa di riposo La Salute di Fiesso - progetto "ponte di vista " far vedere i residenti anziani ai visitatori nelle vetrate e connessione tramite cellulare. dopo un paio di mesi gli ospiti possono vedere e parlare con i familiari
PADOVA
«Nei prossimi dieci giorni, se non arriveranno provvedimenti nel territorio, il 90 per cento delle nostre strutture capitolerà». Senza tanti giri di parole, Roberto Volpe, presidente di Ancora (Associazione Nazionale di Coordinamento degli Organismi di Assistenza Pubblica) immagina la rotta delle Rsa (Residenze Sanitarie Assistenziali, più semplicemente case di riposo), da qui a metà novembre. Ed è una specie di viaggio del Titanic. «Se a marzo in Veneto le strutture toccate dal Covid erano meno di una sessantina adesso sono già quasi 130», dice.
Tutto un altro mondo
E non è un problema di rispetto delle norme. Le case di riposo stanno attuando scrupolosamente tutti i protocolli di sicurezza. «Non è che a marzo siamo stati bravi e adesso non lo siamo più. La differenza è che è completamente cambiato il panorama», spiega Volpe. «Se durante la prima ondata i nostri 30 mila dipendenti avevano un rischio molto limitato di contrarre il virus, in quanto tornavano a casa dal lavoro e vedevano i figli e il marito, entrambi rimasti a casa a causa del lockdown, adesso il rischio è decisamente più alto. Innanzitutto perché tornano a casa e vedono i figli, che frequentano la scuola, e il marito, che va al lavoro ogni giorno, e poi perché il grosso problema di questa ondata è il gran numero di asintomatici».
Senza difese
Neppure impedendo l’accesso dei familiari alle case di riposo e prendendo tutte le precauzioni necessarie può essere garantito il fatto che il virus resterà fuori. Dentro, però, ci sono le fasce più deboli ed esposte ai gravi rischi che comporta il Covid. E quindi la posta in gioco è altissima.
Forze insufficienti
«È innegabile che siamo molto più in difficoltà di allora anche per un altro motivo, ossia la carenza di infermieri e operatori socio sanitari. A fronte di un fabbisogno a livello regionale di 3.500 infermieri, ne abbiamo non più di 2 mila. Da marzo in moltissimi hanno risposto alle chiamate delle aziende Usl e se ne sono andati. D’altronde si sa che sia per il tipo di contratto, decisamente migliore, che per le possibilità di carriera e dunque per ambizione personale, gli infermieri preferiscono lavorare in ospedale».
Nessuna risposta
Volpe dopo mesi di appelli, il 2 ottobre ha mandato una lettera al presidente del consiglio Conte, al ministro della salute Speranza, al presidente della Conferenza delle Regioni e Province Autonome Bonaccini, a tutti i senatori e parlamentari e agli oltre 500 sindaci del Veneto. «Nessuno mi ha risposto. Siamo totalmente inascoltati», racconta adesso. Che la carenza di personale nelle Rsa sia evidente lo conferma anche Fabio Incastrini presidente di Altavilla Ira. «Questi problemi sono presenti in tutte le province del Veneto. A Padova in questo momento la situazione è ancora sotto controllo, abbiamo cercato in tutti i modi di preservare i nostri ospiti, ma ci aspettiamo momenti difficili. Pensiamo che l’unica via per cercare di tenere alla larga il virus sia quella di aumentare i tamponi agli ospiti ma soprattutto al personale. Se non riusciremo a fare tamponi con una frequenza adeguata sarà molto difficile uscirne incolumi».
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