Cavallini imputato per la strage «Quel giorno ero a Padova»
venezia. A 39 anni dalla strage del 2 agosto 1980, che fece 85 morti e oltre 200 feriti, alla stazione di Bologna, Gilberto Cavallini, 66 anni, torna nel capoluogo miliano da imputato nel processo che lo vede accusato, davanti alla Corte d'Assise, per concorso in quella strage, per cui sono già stati condannati in via definitiva Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini.
Gilberto Cavallini, il “negro” come lo chiamavano nell’ambiente terroristico di estrema destra, sulle spalle ha diversi ergastoli e ha frequentato molto il Veneto. Abitava, negli anni Ottanta con la moglie a Treviso e qui oltre a compiere varie rapine ha partecipato all’omicidio, a Padova il 5 febbraio del 1981 al duplice omicidio dei carabinieri Enea Codotto e Luigi Maronese. E al Veneto è legato l’alibi che ieri ha portato in aula per ribattere che lui quella mattina dell’attentato era a Padova e non a Bologna, lui ha sostenuto che quel giorno lo ha trascorso prima a Padova a casa di un conoscente che non era Carlo Digilio, “zio Otto”, altro terrorista legato ai Nar del Lido di Venezia.
Ieri in aula, prima che iniziassero le domande dei magistrati e dei vari avvocati è stato lui a leggere un documento con il quale attacca l’Associazione dei famigliari vittime della strage. «Mi riprometto di presentare denuncia per calunnia contro gli estensori della cosiddetta scheda Cavallini datata 22 maggio 2014, presente nel fascicolo della Procura, per le falsità e le gravi accuse ivi contenute», ha detto riferendosi a una parte dell'esposto dell'associazione, che diede il via alle nuove indagini. Paolo Bolognesi, il presidente dell’Associazione ha risposto che se lui querela loro rispondono con i documenti.
L'ex Nar, l'ultimo del gruppo ad essere arrestato, ora in carcere a Terni in regime di semilibertà, ha aggiunto: «Fin dall'immediatezza c'è stato il dogmatico convincimento che si trattasse di una strage fascista, di cui la mia presenza qua oggi è solo una tragica conseguenza. L'attentato fu subito decretato come fascista dal Sismi». Per lui, invece, la pista credibile è quella «palestinese». Cavallini dice: «Dopo l'inizio del processo è cominciato un tam tam mediatico per affermare prima che erano state trovate le prove dei pagamenti di Gelli al sottoscritto (sfido chiunque a produrle) e poi di essere stato un agente di Gladio. E per finire di avere avuto contatti con strani e equivoci personaggi che vanno dal cosiddetto “Faccia da mostro” a un certo Titta».
A proposito di quel 2 agosto 1980 dice: «Quella mattina ero a Padova con Fioravanti, Mambro e Ciavardini, poi mi allontanai per incontrare un mio conoscente, detto “il Sub”, a cui dovevo far filettare delle armi, ma non intendo rivelare il nome. Tornai da loro dopo un'ora, un'ora e mezza o due». Cavallini ha negato che si trattasse di Carlo Digilio, l'armiere di Ordine Nuovo, segretario del poligono di tiro del Lido di Venezia e di essersi allontanato da Padova quel giorno per andare proprio al Lido. Per la prima volta, però, in maniera chiara, ha confermato che Digilio e “zio Otto” sono la stessa persona. —
C.M.
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