Cinema al 100 per cento, le recensioni dei film usciti il 18 febbraio 2022
“Leonora addio” film testamento per il regista novantenne, ma anche un film sulla vita e sull’amore, sul tempo che passa, un omaggio a Luigi Pirandello. “Ennio” la musica di Ennio Morricone “raccontata” da Giuseppe Tornatore nel documentario dedicato al maestro delle colonne sonore della nostra vita. Da Berlino (dove ha vinto il premio FIPRESCI) il nuovo film di Paolo Taviani con il rocambolesco viaggio delle ceneri di Pirandello da Roma ad Agrigento

“Leonora addio”
Regia: Paolo Taviani
Cast: Fabrizio Ferracane, Matteo Pittiruti, Dania Marino, Dora Becker, Claudio Bigagli
Durata: 90’
Premio Fipresci della critica internazionale alla recente Berlinale, “Leonora addio” è il primo film di Paolo Taviani senza il fratello Vittorio. Un film testamento per il regista novantenne, ma anche un film sulla vita e sull’amore, sul tempo che passa, un omaggio a Luigi Pirandello e alla sua opera, ma anche una finestra aperta sulla storia d’Italia, quella stessa che i Taviani hanno sempre messo al centro della loro opera. E la storia irrompe nel film sin dalle prime sequenze dell’Istituto Luce, con Pirandello a Stoccolma per ritirare il Nobel, nel 1934, celebrato, ma «mai sentito così solo», come scriverà a Marta Abba. Ma tutto l’incipit è folgorante, con lo scrittore in soggettiva sul letto di morte che si chiede meravigliato: «Già finita la vita? Com'è possibile?». Da questa disperata constatazione inizia il grottesco racconto dell’odissea delle ceneri del poeta, morto a Roma il 10 dicembre del 1936: Pirandello aveva dato indicazioni che, dopo la cremazione, la sua urna fosse portata in Sicilia e «murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui». In realtà restarono al Verano, a Roma, per undici anni fin dopo la guerra, quando da Gaspare Ambrosini, studioso dello scrittore e primo presidente della Corte Costituzionale, li trasportò in Sicilia, ma non nell’aereo dell’Air Force, messo a disposizione da Alcide De Gasperi, che scaramanticamente si rifiutò di trasportarne i resti, ma in treno, tra mille disagi. Taviani sceglie la dimensione del viaggio per raccontare l’Italia del dopoguerra con le sue ferite attraverso materiale di repertorio e film del neorealismo, ricorrendo al bianco & nero, sino all’arrivo in riva al mare, dopo una parte delle ceneri venne effettivamente dispersa, quando entra in gioco il colore. Taviani mescola le carte sin dal titolo, una novella di Pirandello di cui non c’è traccia nel film (pare sia stata taglia in un premontaggio) al pari di una celebre romanza del Trovatore, di cui non vi sono citazioni. E anche il secondo episodio, tratto dalla novella “Il chiodo”, scritta poco prima di morire, non è assolutamente fuori luogo, perché nella triste storia di Bastianeddu, che uccide una ragazza quasi per gioco, con un chiodo “messo lì apposta” emerge ancora una volta la dedizione, quasi l’amore postumo che porta l’assassino sulla tomba della ragazza, sino alla sua morte. Una riflessione finale sul tempo, che Taviani sintetizza con un’ultima frase di Pirandello: «Bisogna che il tempo passi. Il mio l'ho avvolto e messo sotto il braccio» (mi.go.).
Voto: 7
***
“ENNIO”
Regia: Giuseppe Tornatore
Durata: 150’

Si può raccontare la musica? Ennio Morricone direbbe di no perché “la musica non si racconta ma si ascolta”. Eppure, Giuseppe Tornatore, che con il maestro ha collaborato per 30 anni (da “Nuovo Cinema Paradiso” a “La corrispondenza”), alla fine, è riuscito a fare di quella musica un oggetto filmico, in un documentario - Ennio - concepito come una partitura musicale, una sinfonia che mette insieme tanti strumenti (le testimonianze di registi, musicisti e cantautori, brani delle sue celebri colonne sonore, arrangiamenti, filmati di repertorio) in un crescendo, soprattutto emotivo, a cui non si può resistere. “Ennio” è un lungo (ma mai abbastanza) viaggio nell’opera (fluviale) di un compositore attraversato da un conflitto embrionale con quella stessa arte - il cinema - che lo consacrerà per sempre in tutto il mondo. Perché Morricone, inizialmente, non voleva fare “il cinema” come se scrivere partiture per il grande schermo fosse poco nobile per un compositore cresciuto sotto l’ala di un padre putativo come Goffredo Petrassi, tra grammatiche di Bach, Frescobaldi e Stravinskij. Questo pregiudizio se lo sentirà addosso per molto tempo: sarà, in fondo, l’innesco per una radicale, innovativa e personalissima rielaborazione dei canoni della musica cinematografica, plasmata proprio a partire dai suoi studi classici. Una rivoluzione che Morricone realizza anche attraverso l’attività di arrangiatore di canzoni di successo: da “Abbronzatissima” con l’attacco (“A, a, - bbronzatissima”) che è lui stesso a illustrare e raccontare a “Non son degno di te”, la cui intro è debitrice nientemeno che di Beethoven. Ma anche “Sapore di sale”, Se telefonando”, “In ginocchio da te”, “Il barattolo”. E, naturalmente, attraverso la monumentale e indimenticabile carriera di compositore di colonne sonore da cui gemma una altrettanto copiosa aneddotica raccontata a più voci (dall’iconico flauto di Pan che Sergio Leone avrebbe voluto mettere “a tappeto” per accompagnare “Il buono, il brutto e il cattivo”, al marranzano di “Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto). Una eredità talmente vasta, capace di accendere la memoria di più generazioni, da far dimenticare le occasioni mancate, come quando Morricone dovette rinunciare a collaborare con Stanley Kubrick per le musiche di “Arancia meccanica”. Giuseppe Tornatore, come il suo Ennio ripreso mentre comincia una seduta di ginnastica, scalda i muscoli per poi raccontare e far raccontare l’artista a briglia sciolte, cavalcando con intelligenza e semplicità l’emozione che sgorga naturalmente dai pentagrammi più famosi (cioè quasi tutti) di Morricone, con lo spettatore che si sorprende a battere il tempo e ad accompagnare a fior di labbra le melodie di una vita. “Ennio” non sarà, forse, un documentario che sperimenta uno sguardo inedito sull’oggetto della sua indagine, ma sublima, con i toni appassionati del regista che è stato anche amico sincero di Morricone, il concetto stesso di divulgazione. Perché raccontare il genio è, in fondo, operazione geniale anch’essa. E farlo con questo trasporto, commovente. (m.c.)
Voto: 8,5
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