Coronavirus, la professoressa Baggio: "Ecco perché le donne muoiono e si ammalano meno"

Vantaggio genetico e estrogeni. Ecco la spiegazione della professoressa Giovannella Baggio, docente di Medicina di genere dell'Università di Padova
PIEROBON - GIOVANNELLA BAGGIO PIEROBON - GIOVANNELLA BAGGIO
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PADOVA. Il coronavirus fa più morti fra gli uomini che fra le donne, ma con altrettanta certezza non si può dire che le donne si ammalino meno di Covid 19. Secondo la professoressa Giovannella Baggio, presidente del Centro studi nazionale su Salute e Medicina di genere, professore ordinario e studioso senior dell’Università di Padova dove dal 2012 al 2019 ha tenuto la prima cattedra di Medicina di genere in Italia, in assenza di dati differenziati sulla morbilità del corona virus - ovvero la frequenza con cui la malattia si manifesta nella popolazione - non si dovrebbe immaginare di far rientrare al lavoro prima le donne, come ha invece ipotizzato la virologa Ilaria Capua.

Baggio offre una disanima del virus dal punto di vista della Medicina di genere, intesa non come branca autonoma della Medicina, ma come “lettura” differenziata di tutte le patologie e delle loro caratteristiche.

E svela che a difendere le donne sono probabilmente gli estrogeni che rendono più reattivo il loro sistema immunitario.

Professoressa Baggio, perché non è d’accordo con la collega Ilaria Capua quando sostiene che le donne possono rientrare prima al lavoro?

«Premetto che conosco e stimo molto la collega Capua con cui in passato ho anche collaborato. Il fatto è che se è vero che la donna muore di meno per Covid 19, è vero anche che non sappiamo se si ammala di più, di meno o tanto quanto l’uomo poiché non conosciamo i dati della morbilità.

Come possiamo dire che la donna può “uscire” prima e correre il rischio - nonostante generalmente le sue prognosi per infezione da Covid 19 siano meno severe - che si ammali? Bisogna attendere che una decisione venga assunta sulla base dei dati della morbilità e sulla condizione di portatrice sana».

Che la donna risponda meglio all’infezione da Covid 19 è comunque una certezza, o no?

«Va fatta una prima sottolineatura, ovvero che da decenni sappiamo che il sistema immunitario della donna è più forte che nell’uomo, sia da adulta che da bambina. Storicamente morivano più bimbi maschi che femmine per malattie infettive.

Questo si spiega innanzitutto con il fatto che tutti i geni che hanno a che fare con l’immunità si trovano nel cromosoma X, e la donna ha due cromosomi X, mentre l’uomo ha XY. Si dirà che uno dei due cromosomi X nella donna è inattivato, ma lo è solo parzialmente e ci sono infatti dei geni per l’immunità che fanno sì che la donna abbia una carica immunitaria maggiore. La donna ha quindi anche un vantaggio genetico».

La risposta immunitaria della donna vale anche per altre patologie?

«Si, per tutte le malattie è così. Ma ci sono anche dei risvolti negativi».

Quali?

«La donna paga la sua capacità reattiva immunitaria con una maggiore propensione alle malattie reumatiche, come l’artrite reumatoide, che tra donne e uomini è in un rapporto di 3 a 1, o di Les (lupus eritematosi sistemico, ndr), con un rapporto addirittura di 9 a 1. Una tendenza che vale per tutte le malattie autoimmuni.

Un secondo risvolto negativo determinato dalla forte capacità immunitaria della donna è rappresentato dal fatto che è soggetta a infiammazione più spiccata: se una infiammazione dura troppo diventa un fattore di rischio per il cattivo invecchiamento, quello che viene chiamato “inflammaging”, composto di inflammation - infiammazione - e aging - invecchiare».

Ma statisticamente non è vero che le donne vivono più degli uomini?

«Le donne sopravvivono 5 anni più dell’uomo, in Italia sono 85 anni per la donna e 80 per l’uomo. La donna vive di più ma con una qualità di vita peggiore, per malattie e disabilità».

Torniamo al Covid 19: quale ruolo hanno gli ormoni?

«Gli estrogeni sono un altro motivo per cui la donna è più resistente al Covid 19, poiché sono stimolatori di una corretta immunità, mentre il testosterone, l’ormone maschile, ne è un inibitore. Il recettore ACE2 che si trova nel rene e nel polmone e difende la cellula polmonare dall’aggressione del Covid 19 è più efficiente nella donna».

Anche una recente scoperta del Vimm in qualche modo suffraga la differenza di genere nell’approccio al Covid 19.

«I ricercatori dell’Istituto Veneto di Medicina molecolare hanno scoperto che il Covid 19 infetta le cellule anche tramite un altro enzima, il TMPRSS2, un marcatore importante del cancro della prostata e contro il quale si usano farmaci chemioterapici. Nessuno dei circa 1.500 pazienti che sono sotto questa terapia in Veneto ha sviluppato l’infezione da coronavirus».

Si può quindi parlare di approcci terapeutici diversi per uomini e donne contro il Covid 19?

«Al momento no. Siamo troppo indietro con la conoscenza del virus per pensare che ci possa essere un protocollo terapeutico diverso per uomini e donne.

I dati attualmente a nostra disposizione non permettono questa differenziazione. In altre malattie, dall’infarto, allo scompenso cardiaco, l’osteoporosi e altre ancora, dopo anni di lavoro si è invece arrivati a una differenziazione anche delle terapie».

E questo grazie alla Medicina di genere.

«Medicina di genere è in realtà un’accezione un po’ impropria, meglio Medicina genere-specifica poiché non è separata dalla Medicina, non è una branca della Medicina, bensì una dimensione trasversale a tutte le specialità mediche.

Si tratta di un approccio relativamente recente, io me ne occupo dal 2006 e all’Università di Padova ho tenuto la prima cattedra in Italia di Medicina di genere. L’Italia ha anche la prima legge al mondo sulla Medicina di genere che si fonda su quattro indicazioni: formazione universitaria, clinica, ricerca - basti pensare che negli ultimi 50 anni tutti i farmaci sono stati sperimentati su uomini o animali maschi - e informazione alla popolazione». —

 

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