Coronavirus, l'infettivologa Cattelan: «Anziani rintanati in casa, i giovani si spostano e si infettano»

PADOVA. C’è chi parla di “seconda ondata”, chi di recrudescenza del virus. Comunque la si chiami, l’imperativo è trovarsi pronti: come singoli, ma soprattutto come sistema. Parla di cosa potrebbe accadere nei prossimi mesi Anna Maria Cattelan, primario del reparto di Malattie infettive del Policlinico universitario di Padova, pur non azzardando previsioni.
Dottoressa, in che direzione sta andando il contagio?
«I numeri, negli ultimi giorni, sono in evidente aumento. Ma è il periodo a essere particolare: la fine dell’estate, il rientro in massa dalle ferie. I casi di persone che necessitano del ricovero sono meno impegnativi rispetto a quelli affrontati all’inizio dell’epidemia, così come i soggetti in rianimazione si contano sulle dita di una mano. Oltre al fatto che i numeri di oggi non sono paragonabili con le cifre di marzo, ma neanche con quelle di maggio. Certo, stiamo lavorando di “contact tracing”, eseguendo tanti tamponi per arginare i piccoli focolai di cui veniamo a conoscenza, cercando di limitare il più possibile».

Qual è il “profilo” del contagiato di oggi?
«Nel reparto di Malattie infettive dell'ospedale di Padova, procediamo eseguendo una media di 500 tamponi al giorno. Per la maggior parte, su persone che tornano dalle vacanze, magari trascorse in luoghi in cui sono scoppiati dei focolai. Non parlo necessariamente della Grecia, della Croazia e della Spagna, ma anche di Jesolo, di Sottomarina, di Cortina, della Puglia, oltre naturalmente che della Sardegna. Di questi, il 20-30 per cento è sintomatico: ha magari un raffreddore o una leggera febbre. Ma non esiste mica solo il Covid. Chiedono spontaneamente di essere sottoposti al tampone, a livello precauzionale. Ma, per fare un esempio concreto, dei 2 mila tamponi effettuati ieri nell’azienda ospedaliera (giovedì, ndr) di Padova, solo 12 hanno dato esito positivo. E nel novero comprendo anche gli operatori socio-sanitari, che vengono controllati a cadenza regolare. Lavoriamo tanto per trovare poco. E quel poco cerchiamo di contenerlo subito, per evitare diffusioni esterne».
Parliamo di gestione ospedaliera. È possibile che, di fronte a una “seconda ondata”, si tenderà a puntare sulla terapia sub-intensiva?
«Sì, è probabile. Già nel corso dei mesi scorsi i modelli di trattamento non sono stati omogenei in tutta Italia. In Veneto, ad esempio, abbiamo potuto beneficiare del “cuscinetto” della terapia sub-intensiva, per i pazienti che necessitavano del supporto dei ventilatori, ma non della ventilazione meccanica vera e propria. È verosimile che questo possa essere il nuovo scenario di una eventuale seconda ondata - che speriamo non ci sarà -, con più pazienti nei reparti ordinari, ma molti meno in rianimazione. Tra l’altro siamo di fronte a un’epidemia che colpisce anche i giovani, che hanno più risorse per rispondere all’infezione, in un quadro di non particolare gravità».
Il virus colpisce i giovani, perché i giovani escono di casa e vanno in vacanza. Oppure il virus è cambiato?
«No, il virus di oggi sembra essere lo stesso di marzo. Alcuni studi dimostrano che ha subìto qualche piccola mutazione, che lo ha reso meno aggressivo, ma queste pare che non interessino il virus che circola in Italia, ma piuttosto in Gran Bretagna. È vero che colpisce i giovani, perché i giovani sono le persone che più si spostano. Gli anziani si stanno proteggendo, usano le mascherine, cercano di non frequentare i luoghi affollati. Se il Covid continua a colpire i ragazzi, questi quasi sempre riescono a superarlo senza sintomi o comunque in modo non grave».
Sì, ma a che prezzo? Con la "metà anziana" del Paese costretta a casa?
«Purtroppo in questo momento è così. Gli anziani sono “rintanati”. D’altra parte, quando si parla di virus le variabili sono tre: virus, ospite e ambiente».
In pratica, parlando del ritorno a scuola, metterebbe in guardia gli insegnanti, più che i ragazzi?
«Diciamo di sì, ma la scuola non è un ambiente “a sé”. I ragazzi e gli insegnanti che entrano in un'aula arrivano dalla famiglia, sono stati al bar, alle feste. La scuola è uno dei luoghi in cui si può essere esposti al virus, ma non è un moltiplicatore di focolai. Basta che si rispettino le poche disposizioni richieste: il distanziamento, le mascherine e l'igienizzazione. Le esperienze europee ne sono una prova: si può ripartire in sicurezza». —
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