Coronavirus Veneto, Aurora dai concorsi di bellezza a infermiera volontaria nei reparti Covid

VENEZIA. Dalle passerelle alle corsie di ospedale, è la storia di Aurora Niero nell’incubo del coronavirus ad assistere i malati nell’ospedale di Bergamo.
Aurora, sandonatese, innumerevoli concorso di bellezza vinti, è infermiera all’ospedale di Treviso, reparto di Pediatria. Ma è partita con la Croce Rossa per prestare il suo aiuto e la sue esperienza ai sanitari di Bergamo dove ogni giorno si combatte per salvare vite umane in una delle aree più colpite dal coronavirus. Laurea in infermieristica, in un quaderno delle elementari già scriveva che il suo sogno era diventare infermiera. Anni dopo ha conseguito il master in Area critica ed Emergenza sanitaria con 110 e lode. E oggi è in prima linea, con mascherina e casco, bardata dalla testa ai piedi. Altro che sfilate.
«Fin dall’inizio di questa emergenza», racconta in una pausa all’ospedale, «ho espresso il mio desiderio di poter dare il mio aiuto. È qualcosa che sentivo dentro. Potevo dare una mano nei reparti più colpiti e dare un supporto ai colleghi che si trovavano in enorme difficoltà».

Ricevuta la chiamata, due giorni dopo è partita per Bergamo, ospedale Papa Giovanni XXIII, con la Cri.
«Dal primo istante ho avuto il supporto della mia coordinatrice infermieristica e del primario del mio reparto all’ospedale di Treviso», prosegue, «e per me è stato molto importante per affrontare questa scelta, quindi li ringrazio tantissimo. La parte più difficile è stata comunicarlo alla mia famiglia, ma dopo la difficoltà iniziale ho ricevuto un caloroso abbraccio virtuale con il loro amore e me lo porto appresso ogni giorno. Sono grata in special modo a mia mamma Giordana, che penso sia la persona per cui sia stato più difficile. Le sono grata anche per i forti valori che mi ha trasmesso. È un’esperienza importante, non solo perché posso svolgere la mia professione dando il mio piccolo contributo nell’aiutare le persone che stanno soffrendo per la malattia, ma anche perché siamo infermieri e medici giunti da diverse parti d’Italia e diverse realtà. E il confronto è importante. Siamo una bella squadra, unita, inoltre cerchiamo di portare un po’ di supporto fisico e morale ai colleghi qui a Bergamo, che sono straordinari, e nonostante abbiano passato un periodo terribile che li portava a piangere ogni giorno, nonostante perdite importanti, ci accolgono con gratitudine e hanno una forza d’animo strabiliante. Sono molto uniti tra loro nonostante siano stati messi in reparti Covid con colleghi di altri reparti, e non hanno perso il dono del sorriso».

«La situazione qui a Bergamo», aggiunge, «sta fortunatamente migliorando, e molti reparti stanno riaprendo. Inizialmente tutto l’ospedale era occupato da Covid positivi. Raccontavano che fuori continuavano ad arrivare ambulanze e si sentivano impotenti. Qui lavoro in un reparto Covid, a contatto con i malati. È molto dura fisicamente perché i dispositivi di protezione vanno mantenuti per tutto il turno, facendo ben attenzione che siano tutti posizionati correttamente per evitare i rischi da contagio. Si suda moltissimo, evito di bere molto prima per non dover andare al bagno. A fine turno ci consegnano degli sport drink reintegranti che sono stati donati al personale. Inoltre gli elastici delle 2 maschere che indossiamo e la visiera stretta in fronte fanno male e lasciano segni e irritazioni sul volto. Le mani sono secchissime per via dei guanti e dei lavaggi continui. Ma passa tutto in secondo piano quando vedi dei miglioramenti nei pazienti o il loro sorriso. I pazienti possono vedere i loro cari tramite videochiamate attraverso un dispositivo, ognuno ha una storia da raccontare. E ci sentiamo parte del dolore delle loro famiglie. Non ci si abitua mai». «Spero di poter presto riabbracciare tutti coloro che non vedo da due mesi», conclude, «Samuele e Orazio, i miei due nipoti, la mia famiglia, il mio fidanzato Sauro, anche lui attivo nell’emergenza come vigile del fuoco, le amiche, che mi hanno sempre sostenuta». —
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