Covid Veneto, il fenomeno: ristoranti convertiti in mense aziendali per poter lavorare

PADOVA. Ristoranti convertiti in mense aziendali per poter continuare l'attività in regime di restrizioni da zona arancione per il Covid. E' un fenomeno che sta prendendo sempre più piede in Veneto dove sarebbero addirittura 500 i casi in provincia di Treviso, una quarantina a Padova solo nel capoluogo di provincia.
In provincia di Treviso quasi 500 ristoranti hanno deciso di trasformarsi in mense aziendali. Nessun menu alla carta, regole rigidissime di distanziamento, tutto ovviamente a norma di legge. Una possibilità per cercare di restare in piedi, dopo lunghe settimane di chiusura e un asporto che, con la seconda ondata del Covid, non ha assolutamente registrato i risultati precedenti. Bisognava quindi o chiudere o inventarsi altro: la mensa aziendale.
«Possiamo dire che circa un ristorante su 4 della Marca, circa 500, ha deciso di trasformarsi in mensa per le aziende del territorio», dice Dania Sartorato della Fipe, la federazione italiana dei pubblici esercizi, «È diventato uno spiraglio per la categoria. Il tutto attraverso regolare contratto. Niente menu alla carta, precisa fascia oraria, distanziamento».
Gli esercizi che intendono effettuare i servizi di mensa continuativa devono stipulare un contratto e avere i requisiti tecnici e amministrativi necessari, garantiti da organi del Comune. La possibilità è ribadita dalle disposizioni contenute nel Dpcm del 3 dicembre 2020, riversatisi nel vigente Dpcm del 14 gennaio 2021.
Oltre a dover rispettare le misure di contenimento del rischio di contagio, in caso di un controllo bisognerà dimostrare la sussistenza di un regolare contratto fra l’esercente che offre la mensa e un datore di lavoro che giustifichi “lo svolgimento dell’attività di mensa o catering continuativo e la corrispondenza fra gli avventori presenti nell’esercizio e i lavoratori individuati in uno specifico elenco dal proprio datore come beneficiari del servizio contrattualizzato”, si legge nel regolamento.
Alla mensa ricavata in un ristorante possono mangiare solo i lavoratori dipendenti e non gli autonomi.
Nella città di Padova l’assessore al Commercio Antonio Bressa lunedì ha inviato una nota ai quaranta ristoratori hanno intrapreso la strada del servizio mensa per chiarire che l’intervento della Regione è stato risolutivo per ampliare la portata dell’azione dei pubblici esercizi.
«Ovviamente chiediamo responsabilità a tutti affinché il servizio si svolga solo per i lavoratori delle aziende convenzionate e nel pieno rispetto dei protocolli anticontagio», sottolinea Bressa.
A segnare il punto conclusivo è giunta anche una circolare interna del ministero dell’Interno, trasmessa alle varie Prefetture, che chiarisce come sia consentito lo svolgimento, all’interno dei pubblici esercizi, dell’attività di ristorazione in favore di lavoratori di aziende con le quali tali esercizi instaurino un rapporto contrattuale per la somministrazione di alimenti e bevande.
«Anche con la prima comunicazione», ha aggiunto Bressa, «avevamo evidenziato la necessità di un intervento regionale per superare i problemi previsti dalla normativa ordinaria. Intervento che anche grazie all’azione delle associazioni di categoria è nei giorni scorsi arrivato".
"Si risolve a cascata anche tutta la questione degli adempimenti burocratici necessari. In ogni caso una comunicazione al Comune sarà sempre utile per permetterci di tenere sotto controllo la situazione. Si tratta di un’opportunità in più per i ristoratori che stanno pagando altissimo il prezzo delle restrizioni in corso e per molti lavoratori che hanno ora un servizio in più durante queste difficili giornate lavorative».
Non occorre, pertanto, né comunicare preventivamente l’attivazione del servizio tramite Scia, né dotarsi di apposito codice Ateco. «Ad avviso di Appe», si legge in una nota dell’associazione, «è sempre preferibile comunicare l’avvio del servizio con una Pecda inviare all’ufficio commercio (o al protocollo) del proprio Comune".
"Ovviamente, rimane l’obbligo di sottoscrivere un contratto con l’azienda che beneficia del servizio, con allegato l’elenco nominativo delle persone che, in quanto lavoratori, possono pranzare all’interno del pubblico esercizio. Tra i “lavoratori” infatti possono essere ricompresi anche il titolare, i soci e i collaboratori dell’impresa. Rimangono esclusi dalla possibilità di stipulare il contratto gli autonomi e le imprese individuali».—
(da testi di Giorgio Barbieri, Alessandro Zago, Marta Artico)
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